Con le dimissioni di Ignazio Marino per Roma finisce un’era

Forse eccessiva la suspense che hanno provocato le vicende del sindaco marziano

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Drammatica suspense o semplice farsa politica? Sicuramente suspense per le decine di giornalisti che hanno assediato i consiglieri che si recavano presso la sede dei gruppi, chi per firmare la condanna di Marino, chi come Sel, esponendo striscioni sulla morte della democrazia. Francamente eccessivo per un un sindaco che non vuol mollare anche se il suo partito l’ha sfiduciato. Chè democrazia vorrebbe le sue dimissioni una volta che non dispone della maggioranza. Farsa politica per quei cittadini romani che non comprendono che differenza faccia la probabile debacle Sindaco in aula quando addirittura i suoi compagni hanno espresso un giudizio negativo sul suo operato, dalle sue spontanee dimissioni. Eppure la farsa è continuata sino a quando non sono state raccolte le firme necessarie. Ingordigia del nulla per i media assatanati di notizie che interessano solo gli appassionati della materia.  Perché il sindaco uscente non deve rendere conto in aula solo vis a vis a tutti i consiglieri capitolini, ma alle centinaia di migliaia di elettori di ogni colore che sono il popolo vero, non quelle poche migliaia che si sono riuniti domenica per sostenerlo inutilmente e rumorosamente. Per un attimo lasciamo perdere le forme, i bizantinismi e riti tutti politichesi per stabilire  chi ci perde la faccia o meno, ma guardiamo alla sostanza delle cose.

Il Marziano che il cosiddetto kings maker Goffredo Bettini spinse alle primarie degli elettori Pd, sbarcò al Campidoglio senza alcuna esperienza di governo amministrativo e circondandosi, spesso, di fedelissimi che Roma non conoscevano. Ma soprattutto si dovette confrontare non solo con i disastri di Alemanno, ma con il crollo di un sistema non solo politico, ma economico e soprattutto sociale. Perché dopo Monti e il patto di stabilità la greppia che aveva facilitato la coesione sociale della città con assunzioni nella sua amministrazione e delle sue controllate, favori a palazzinari, mance al popolino, compiacente accondiscendenza per “magnoni” ed evasori, feste e amenità varie, si era completamente vuotata. Sino a quando, con l’arresto si Buzzi, Carminati e tanti altri fra politici e amministratori, si scopriva (ohibò animucce candide ma non lo sapevate?) che il  sistema era intriso di una corruzione ancora tutta da scoprire.

Comunque tale da far impallidire l’astuzia borgatara di un Buzzi e soci. Un sistema da basso impero che si sfascia dopo decenni e non regge all’impatto della modernità, dei vincoli europei e della complessità urbana. Dove il classico ‘a Fra che te serve’ scivola nel ricordo in bianco e nero della vecchia DC perché non c’è più trippa per gatti, piccoli e grandi. Ma la crisi che appare sia pur momentaneamente in via di superamento, impone nuovi modelli di sopravvivenza, sbriciola i ceti medi, mischia le classi sociali verso il basso soprattutto nelle periferie isolate l’una dall’altra nel loro ‘malvivere’ quotidiano.

E Marino che fa? Memore di residui culturali da liceo classico, per prima cosa pedonalizza i Fori, poi tenta di imporre la bici ad una città collinare, si inventa progetti avveniristici, viaggi a caccia di improbabili finanziamenti e nella sua presbiopia politica nemmeno odora la nuova complessità farraginosa dell’Urbe, aggrappandosi a modelli da noi lontani stratosfericamente. Dopo Mafia capitale impugna la bandiera della legalità, scelta obbligata per chiunque si trovasse a governare Roma dopo l’inchiesta di Pignatone che, badate bene, non si è ancora conclusa.

Diffidente, non sa fare team building, anche lui come Alemanno, non ri- aggrega una nuova classe dirigente scegliendo manager veri e non yes men. Gli manca la ‘vision’ generale perché non ce l’ha e tanto meno gliela può dare una sinistra consociativa e di scadente spessore politico (per la destra non basta nemmeno il pietoso velo). Ma c’è di più, perché lui nemmeno si accorge che la sua tecnostruttura amministrativa, che davvero governa la città, non solo  è incapace, ma è la stessa di Alemanno e probabilmente la stessa dell’ultimo Veltroni.

Questa è la macchina vera del potere, talora ingrippata da sordidi interessi, talaltra appagata di mance da accattoni. Lui, Marino, finge di essere tutt’altro, anche rispetto alla politica dalla quale invece è stato promosso a senatore e dirigente del Pd, dalla Fondazione di D’Alema in poi. Tanto che qualcuno si chiede ancora perché abbia abbandonato la sua brillante carriera di chirurgo. Poi, in agonia, scopre l’appello populista ad un popolo che almeno dai sondaggi, non lo ascolta più. E di questi ed altri (tanti) limiti, si deve esser reso conto anche Matteo Renzi (non l’omonimo Orfini che ha sostenuto Ignazio fino  a qualche settimana fa) che attorno a sè vorrebbe uomini e macchine organizzative efficienti. Roma, invece, naviga in una sorta di decadente sfascio galleggiando sulla sua stessa sopravvivenza.

E qui sta il punto, perché sarà il Governo ad intervenire indipendentemente da una competizione elettorale che, fra processi e arresti, chiamerà in causa tutta una classe dirigente romana. Innesti e volti nuovi, competenza, efficienza, senso dello Stato e dei beni pubblici, di questo Roma ha bisogno e non di risse elettorali che non coprono le buche, non puliscono le strade nè fanno andare metro e bus. Altrimenti non ci sarà sbocco per la inevitabile decadenza della Capitale. Giunti a questo punto davvero è tutto farsa, compresa l’ostinazione di Marino che alcuni definiscono nobile, altri solipsistica o narcisistica. Ieri il senatore Esposito

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ci dichiarava ” è finita l’era Marino”. No caro assessore, a Roma è finita un’era, punto e basta.

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