“Si può uccidere una squadra ma non si possono fermare le idee”. Ignazio Marino si presenta ancora come il paladino di un progetto spezzato parlando per la prima volta dopo la fine del suo mandato da sindaco. Sono le 18 in Campidoglio, ma l’ormai ex sindaco non si trova in quell’aula Giulio Cesare che avrebbe voluto sede del dibattito pubblico con l’intera Assemblea capitolina. Dopo essere stato di fatto sfiduciato nel pomeriggio dalle dimissioni di 26 consiglieri comunali di maggioranza e opposizione, Marino è ufficialmente decaduto dalla carica di sindaco di Roma ma non ha rinunciato a dire la sua, applaudito da un folto gruppo di fedelissimi. Per questo ha convocato una conferenza stampa nella quale ha parlato senza peli sulla lingua.
Non sa cosa farà in futuro, non sa se è stato un “gesto inconsulto o premeditato” ma sa di essere stato “ucciso da un familiare”. Sa che chi lo ha “accoltellato sono 26 nomi e cognomi e un unico mandante”. Il protocollo del Comune ha registrato nel pomeriggio le 26 firme: 21 dei “suoi” e altri 5 dall’opposizione. I firmatari del “patto del Tritone” sono Svetlana Celli della Lista civica Marino, Daniele Parrucci di Centro democratico, i fittiani Ignazio Cozzoli e Francesca Barbato, Alessandro Onorato e Alfio Marchini dell’omonima lista; l’Ncd Roberto Cantiani (ultimo a firmare). Quindi i 19 consiglieri del Pd: dal capogruppo Fabrizio Panecaldo, al presidente dell’Assemblea capitolina Valeria Baglio e poi Erica Battaglia, Orlando Corsetti, Athos De Luca, Michela Di Biase, Cecilia Fannunza, Alfredo Ferrari, Valentina Grippo, Liliana Mannocchi, Dario Nanni, Marco Palumbo, Giovanni Paris, Laura Pastore, Ilaria Piccolo, Maurizio Policastro, Antonio Stampete, Giulia Tempesta e Daniela Tiburzi.
Sono loro a segnare la fine dell’era Marino negando contemporaneamente al sindaco quel confronto pubblico in aula con il quale il chirurgo intendeva chiedere alla politica romana le ragioni di questa crisi politica in Campidoglio. Sin dalla mattinata di venerdì Ignazio Marino aveva continuato a ostentare sicurezza e a parlare della città e alla città del suo operato: fino all’ultimo ha continuato a fare il sindaco e anche nella giornata in cui è stato indagato dalla Procura di Roma per la vicenda delle note spese con la carta di credito, con le accuse di peculato e concorso in falso in atto pubblico, non ha abbassato la guardia. Nella sala della Lupa Marino ha rivendicato il bene delle sue scelte e ricordato ancora una volta il suo operato.
Ha attaccato duramente il partito democratico e sulla mancata riunione plenaria ha detto: “In aula avrei ascoltato, come si fa in democrazia e avrei risposto punto per punto”. “Il Partito Democratico mi ha deluso – ha proseguito poi l’ex sindaco – perché ha rinunciato ad agire entro i confini della democrazia negando il suo stesso nome e il suo Dna”. “Come può un partito che vuole definirsi democratico ridursi a rispondere no a un confronto aperto e andare dal notaio?”. E ancora: “Nell’assemblea capitolina avrei preso atto delle conclusioni del dibattito. Avrei accettato un’eventuale sfiducia a viso aperto, oppure avrei chiesto di continuare nell’opera di cambiamento, di continuare a servire le istituzioni e non di servirsi delle istituzioni”.
E ha concluso: “Questi 28 mesi sono stati per me davvero un’esperienza straordinaria, vissuti con una intensità e una passione straordinaria”. In serata alla trasmissione “Otto e mezzo” sono arrivate le risposte a Marino dal commissario Pd Roma Matteo Orfini: “Marino continua a dire le sue bugie. La verità è che ha commesso una enormità di errori” E sulla battuta più caustica di Marino ha replicato: “Non c’è un mandante. C’è una valutazione politica che abbiamo fatto insieme con Renzi”. E ha fatto sapere che non si dimetterà da commissario, lasciando la valutazione al segretario Matteo Renzi.
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