Dopo i 250 testimoni chiamati alla sbarra dai difensori di Buzzi ecco spuntare la lista dei 101 nomi secretati dalla relazione del prefetto Gabrielli. Ora resi pubblici e disponibili per rafforzare le tesi della Procura nel corso del processo monstre che da dopodomani prenderà avvio. Decine di nomi di funzionari, dirigenti comunali, ma anche di altri politici che verranno gettati nel tritacarne mediatico del quale ormai campano tutti i media ed i social network. Marchio di fabbrica: “Mafia capitale”. Che non mette sotto accusa solo l’astuto borgataro Buzzi o il “nero” e temibile Carminati, ma tutta una governance politica e un apparato amministrativo giudicato dalla pubblica opinione ancor prima che il processo venga celebrato. E’ il momento dei “puri”, dei “giusti” e degli incorruttibili, dei commissari, dei prefetti e degli uomini dello Stato che d’ora in poi, almeno sino alle lezioni di primavera (ma non è detto), terranno banco in questa città afflitta dal morbo della corruzione. Fra gli applausi eccitati di Girotondini e giustizialisti d’antan alla eterna ricerca più di colpevoli che di condannati. Una metastasi, quella della corruzione, che avrebbe cominciato a diffondere le sue cellule malate da anni infettando, più o meno malignamente, le amministrazioni che si sono succedute.
“Mafia capitale” è un brand (internazionale) facile, efficace per quel senso comune diffuso che non guarda tanto per il sottile fra arrestati, indagati o semplicemente nominati nelle intercettazioni, ma mette tutti nello stesso maleodorante calderone. Eppure ad agosto non si ritenne opportuno sciogliere il Comune per mafia. Ci si arrivò facendo fuori Ignazio in modo confuso, pasticciato e incomprensibile per l’opinione pubblica ormai più rassegnata che sdegnata. Ora si delinea un processone che durerà almeno sino a luglio e che rischia di coincidere con una campagna elettorale inquinata dai veleni. Un processone dove resta l’incognita del silente Carminati le cui eventuali dichiarazioni potrebbero piombare come bombe eversive sul ‘sistema’. Una sorta di terrorismo vendicativo che fa ancora paura a molti.
Forse non accadrà, perché la mente del Cecato è politica e criminale nel contempo e gli basterà evitare la condanna per associazione mafiosa. Già, un nuovo tipo di mafia (è stato detto e ridetto) che non spara, intimidisce o ricatta, ma collude e corrompe i pubblici poteri. Eppure furono proprio lo scandalo del ‘Mose’ di Venezia prima e dell’Expo di Milano poi, ad alimentare la percezione di un Paese dove la corruzione è norma, tant’ è che fu istituita una autorità ad hoc diretta da Cantone. Non solo, ma a Milano si bloccarono le infiltrazioni negli appalti della mafia, quella vera, la ‘ndrangheta dei lavori, dei movimenti terra, delle costruzioni. In quel caso, nonostante le ondate di arresti degli anni e dei mesi precedenti l’Expo, non si parlò mai di una ‘Milano mafiosa’ perché lì gira il soldo, operano le banche e l’alta finanza che muove i miliardi. Roba seria. Ben altra cosa degli appalti tarocchi per gli immigrati, gli zingari, le case agli sfrattati, il verde pubblico ecc.
Da allora in poi è stato un susseguirsi, uno stillicidio di arresti per corruzione in tutta Italia, eppure viene da chiedersi perché solo Roma abbia meritato l’infamante marchio di “Mafia capitale”. L’indagine della procura fu inizialmente etichettata Mondo di mezzo” con un “mondo di sopra”, quello della politica e il “mondo di sotto”, quello criminale. Con Carminati e Buzzi intermediari e brasseur d’affaires che sapevano navigare fra i potenti e la piccola delinquenza dei sòla, dei faccendieri da tre soldi, dei sensali della mazzetta, degli strozzini, dei piccoli riciclatori ecc. In questo rivelando una approfondita conoscenza di quel substrato di cialtroneria accattona o pacchianamente arricchita e parassita che a Roma è sempre esistito. Ed è proprio oltre questo livello de ‘noantri’ che la Procura fa un salto, quasi antropologico, per colpire duro e adotta l’imputazione di associazione mafiosa.
Le conseguenze sono ormai evidenti perché nonostante l’ottimismo di Renzi che dice di non guardare agli schieramenti politici ma al bene di Roma, viene ‘asfaltata’ tutta una classe dirigente. Eccetto quel “generone”, quei cosiddetti poteri forti con i quali anche Marino “il puro” faceva i suoi bravi compromessi. Come se il nuovo stadio, l’Acea e le stesse Olimpiadi non dipendessero da quelli. C’è da goderne? Diventerà Roma un modello di adamantina amministrazione dopo il processo? Forse. Al momento assistiamo alla graduale intossicazione delle coscienze che spinge al ribellismo e sollecita il disgusto. Poi, come Mitridate, a forza di assumere dosi di veleno per giorni e mesi subentrerà l’assuefazione. “Tanto tutti sono uguali e nessuno si salva”. Pietra tombale sulla politica dalle conseguenze imprevedibili.
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