La Coop Capodarco interdetta per mafia, questa la notizia pubblicata oggi da Repubblica. Un altro colpo alle cooperative sociali travolte dall’inchiesta di Pignatone che ha smantellano il sistema di Buzzi e colpito la cooperazione sociale cattolica che ruotava attorno alla Cascina vicina a Comunione e Liberazione coinvolta anche nella vicenda del centro di accoglienza di Mineo.
IL PRESUNTO COINVOLGIMENTO – Ma veniamo ai fatti. A giugno, dopo la seconda ondata di arresti per Mafia Capitale la Procura aveva già iscritto nel registro degli indagati per turbativa d’asta, Maurizio Marotta, presidente della cooperativa sociale che da ormai 20 anni gestisce il Recup regionale e dieci centri che forniscono servizi di accettazione, incasso del ticket e appuntamenti per visite ed esami. Marotta si era dimesso il 27 novembre, dopo il rigetto dell’istanza della coop di costituirsi parte civile nel processo su “Mafia capitale”. Ma gli inquirenti sospettano un coinvolgimento della Capodarco con la 29 Giugno di Buzzi. Secondo Repubblica infatti le indagini si appunterebbero sulla Coin, Cooperative integrate, nata nel 1988 subito dopo la costituzione della 29 Giugno di Buzzi, su impulso della Lega delle cooperative, delle Adi, della Capodarco e di altre 25 cooperative.
L’INTERDIZIONE – Anche se i soci della Capodarco assicurano di non aver mai svolto attività commerciali con Buzzi è scattato comunque il decreto di interdizione del Prefetto che toglie alla Capodarco la possibilità di rispondere ai bandi pubblici. L’inizio della fine per un altro gioiello dalla cooperazione sociale che da decenni surroga il progressivo decadimento del welfare pubblico e l’abbandono dell’assistenza alle fasce più deboli da parte dei Comuni. Fondata da don Vinicio Albanese e dall’ex assessore regionale alla Sanità Augusto Battaglia, Marotta era stato tra i fondatori della Comunità di Capodarco dalla quale nacque la coop omonima.
I SOSPETTI – I sospetti della Procura si sono incentrati sulla gara di affidamento dei servizi Recup per decine di milioni, immediatamente revocata dal governatore Nicola Zingaretti subito dopo l’arresto di Buzzi che anche a quell’appalto mirava. Ma la decisione del Prefetto mette in ginocchio, come d’altronde avvenuto con la 29 giugno e la Cascina, una struttura di 2000 dipendenti, dei quali 800 disabili. Quello dell’occupazione finisce così per costituire un altro problema sociale se si pensa a tutte le cooperative commissariate o interdette dai bandi che vanno dai servizi sociali al verde pubblico. Aziende, di fatto, oggi obiettivamente congelate. Un problema che mise in difficoltà anche l’ex sindaco Ignazio Marino che si trovò a non poter più utilizzare i servizi che molte cooperative offrivano al Campidoglio e ad Ama. Nonostante la buona volontà dei commissari nominati dal tribunale per preservare in qualche modo l’occupazione e far comunque funzionare le aziende, resta il problema di un futuro molto incerto per il sistema delle coop sociali che da fiore all’occhiello della sinistra e del mondo cattolico oggi appare alla pubblica opinione come ricettacolo di ogni nequizia. Un sistema comunque che fornisce servizi essenziali e che la trasparenza delle nuove gare dovrebbe sostituire con nuovi soggetti. Resta da capire chi saranno gli eredi di questo sistema che muove annualmente decine di milioni e occupa migliaia di dipendenti, spesso svantaggiati. I privati e addirittura le multinazionali del settore, non mancano.
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