Ai sondaggi non crede ormai nessuno anche se tutti li compulsano nervosamente, e ovviamente ciascuno ha le sue fonti. Tanto che qualche sprovveduto preoccupato per il suo candidato del cuore, si preoccupa su Facebook di capire se la Ghisleri, storica sondaggista di Berlusconi, ci azzecchi ancora o meno. Noi invece abbiamo i nostri di numeri e ci raccontano che al primo turno Virginia Raggi dei 5stelle viene quotata al 28.3% dei consensi, con un Giachetti del Pd che segue distanziato al 22.6, il Marchini in piena rincorsa che è già arrivato al 20.3 distanziando Giorgia Meloni al 19.2.
Da queste previsioni manca forse l’esclusione di Fassina i cui voti verrebbero contesi dai Democratici e dai grillini, ma la vicenda è ancora sub iudice al Tar e staremo a vedere. Di certo c’è, almeno a leggere i nostri numeri, che al ballottaggio vincerebbe nettamente la Raggi su Giachetti e Meloni, mentre Marchini si potrebbe giocare la sua partita con un minimo di punti di svantaggio. La disavventura delle liste di Sel/Sinistra Italiana ha ringalluzzito gli uomini del Pd che al ballottaggio ci vedono già Bobo contro la pentastellata, ma nessuno di loro mette la mano sul fuoco sulla possibile vittoria finale di Giachetti. Una incognita, ammettono francamente, o addirittura un terno all’otto perché con quella massa di incerti e di cittadini che non andranno a votare il ballottaggio è davvero una grande incognita.
Tanto che qualcuno dice che il Pd si accontenterebbe dei suoi 8 consiglieri in aula Giulio Cesare, che sono stati sapientemente centellinati fra le varie componenti di quel partito romano, dove ormai, si badi bene, le vecchie correnti sarebbero state sbaraccate dal commissario on. Orfini, mentre invece ci risulta vivano ancora ottima salute. Il tragico (per gli altri) è che i seguaci di grillo al secondo turno pescherebbero a destra e a sinistra, mentre Marchini è sul piede di guerra contro la destra della Meloni che al massimo potrebbe ottenere quel 24% che fu di Alemanno alla competizione del 2013, mentre oggi la partita è tripolare e non più solo fra un marziano e il deposto Gianni. Una destra che paga il prezzo di non aver subito puntato sull’ingegner romano, che pure inizialmente era gradito anche a Salvini, per l’opposizione interna ai Fratelli D’Italia che a Roma contano, ma fuori, in Italia, valgono ben poca cosa in termini elettorali.
Per ora il capo della Lega Nord tace, forse rassegnato e consapevole del fallimento della sua strategia, annunciata oltre un anno, fa di far sbracare le sue liste al centro sud. In fondo il suo leale supporto a Giorgia Matteo l’ha pure dato esponendosi a qualche contestazione nel corso dei suoi tour nelle periferie romane. Ma l’ex Cavaliere ha detto chiaramente che vuol giocare personalmente la sua partita a Roma se non altro per rianimare Forza Italia ancora sotto di qualche punto alla Lega a livello nazionale. Per ora Renzi tace, ma se sono vere le sue intenzioni di trascinarci ad una campagna elettorale senza sosta fino al referendum sulla riforma costituzionale di ottobre e non è detto che ci metta, come usa dire lui, la faccia anche sulle elezioni nella Capitale. Poi, fra un po, i sondaggi non verranno più pubblicati, ma sussurrati nelle segreterie e nei vertici dei partiti, lasciando la parola al popolo sovrano. Amen.
Giuliano Longo