La protesta per l’imminente chiusura dei reparti di Ostetricia, Ginecologia, Pediatria e Nido dell’Ospedale Parodi Delfino di Colleferro si va estendendo con la presa di posizione di parlamentari quali Renzo Carella del Pd e alcuni sindaci del territorio che in una lettera dichiarano di sentirsi addirittura «traditi». Si intrecciano così i timori della popolazione, che si sente privata del reparto di maternità a poca distanza da casa propria, e le ragioni politiche di consenso che spingono gli eletti a prendere posizione. Resta il fatto che il piano di riordino della sanità laziale deve procedere per raggiungere quel pareggio di bilancio che Nicola Zingaretti, dopo dieci anni, intende raggiungere entro quest’anno.
L’ACCORPAMENTO – Ovviamente l’accorpamento previsto con Palestrina, che peraltro si avvale presso il locale ospedale di una struttura pressoché nuova, non riguarda solo Colleferro ma diverse realtà della nostra regione sulla base della logica che i reparti risultano improduttivi, oltre che dispendiosi, al di sotto dei 500 bebè nati in un anno. Senza tuttavia entrare nel merito di una sia pur legittima protesta, va anche detto che proprio a Colleferro i nati nei primi 5 mesi del 2015 sono appena 164, che a voler tener conto di questo trend si rischia non superino i 400 a fine anno. Dato importante se si considera che l’on. Carella del Pd chiede una sorta di moratoria sulla chiusura del reparto colleferrino per una più attenta valutazione dei dati disponibili, dati che evidentemente la Regione ha già in suo possesso.
I NUMERI DEL MINISTERO – Ma guardando alla salute dei cittadini, anzi delle puerpere in questo caso, vale anche la pena di citare in materia di neonatologia le conclusioni del Comitato Nazionale per la Bioetica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri che ha prodotto una corposa documentazione dello scorso anno sul tema delle “disuguaglianze nell’assistenza alla nascita: una emergenza nazionale”. Documento di cui hanno sicuramente tenuto conto le istanze regionali che hanno definito il famoso limite delle 500 nascite. Per quanto ci riguarda la dimensione del problema viene sintetizzata dalla seguente conclusione: «La frammentazione dei punti di nascita (e quindi l’aumento ndr), contrariamente a quanto molti continuano a credere, non favorisce la gestione delle emergenze e aumenta di molto il rischio clinico sia per la mamma che per il neonato». Infatti molto spesso i centri con meno di 500 nati l’anno, particolarmente numerosi nelle regioni meridionali, sono sprovvisti di attrezzature dedicate e il personale presente non è specializzato e idoneo ad affrontare situazioni di emergenza». Considerazione che potrebbe venir contestata nel caso di Colleferro vantando personale e strutture più che adeguate.
LE LINEE DI INDIRIZZO – Ci sono poi le linee di indirizzo concordate e confermate il 16 dicembre del 2010 fra Regioni e Governo sulla promozione della qualità e della sicurezza degli interventi assistenziali per la nascita ed il cesareo, indicazioni cui anche la Regione Lazio si deve attenere. In questo testo i criteri che vincolano le Regioni sono ancor più stringenti perché per garantire l’esistenza di una struttura di neonatalità si fissa il numero di almeno 1.000 nascite l’anno e comunque “mai” al di sotto delle 500. Seguono le indicazioni per i tagli cesarei. Se poi per Colleferro si dovesse soprassedere a questa scelta resta il problema che il piano di riorganizzazione della sanità regionale prevede quattro reti assistenziali che fanno riferimento all’Umberto I, al S. Giovanni, al S. Camillo e al Gemelli, con uno o due centri di II Livello ciascuna e relative strutture di I livello afferenti. Inoltre si prevede l’accorpamento della UO ostetrica/neonatologica di Monterotondo (419 nati) con Tivoli e l’accorpamento di quelle funzioni di Colleferro con Palestrina. E’ allora evidente che la sollevazione colleferrina potrebbe rimettere in discussione tutto l’impianto della riorganizzazione neonatale prevista per il Lazio sollevando le stesse perplessità a Monterorotondo, Tivoli e nella Capitale. Laddove gli interessi particolari si scontrerebbero con quelli più generali del risanamento di un bilancio che continua a venir pagato a caro prezzo, per il debito miliardario accumulato da decenni, ancora una volta dai contribuenti.
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