Era il 12 giugno dello scorso anno quando Ignazio Marino arrivò in Campidoglio cavalcando la sua bici dopo aver percorso agilmente la salita di san Pietro in Carcere per occupare l’augusto palazzo del potere capitolino. Ci arrivava con il voto di 665.000 romani ( circa uno su quattro) mentre l’8 aprile del 2008 Gianni Alemanno ne aveva portati a casa 783.000, ma fece intendere (così fan tutti) che sarebbe stato il sindaco di tutti i romani anche di anche di quella maggioranza silenziosa che nemmeno era andata a votare.
FIUMI DI INCHIOSTRO SUL SINDACO – Da allora sono corsi fiumi di inchiostro sulla sua sindacatura erede di una situazione finanziaria disastrosa incancrenitasi addirittura nei decenni. Fiumi di inchiostro che si trasformavano via via in rivoli di veleno anche da parte di quel partito de “La Repubblica” vero king maker di potenti. Ma sollevando per un attimo il velo di una stampa ostile, dopo un anno tocca fare dei bilanci, trarre un minimo di conclusioni sul pensiero ma soprattutto sulle opere di questo sindaco. Certo, la partita vera non si gioca nemmeno sul bilancio 2014 di prossima approvazione, ma su quel piano di rientro triennale che la nuova assessora al bilancio Silvia Scozzese sta definendo. E se certamente non è stato rivoluzionario pedonalizzare parzialmente i Fori, l’unico vero successo di Marino sta nella conquista (guarda caso) di quel centro di finanza e potere che è Acea per la quale i giochi sui futuri assetti societari non sono ancora chiusi. Una ovazione dei peones ha accompagnato questa brillante operazione, ma pur sforzando la nostra limitata fantasia altri risultati tangibili non ne vediamo ancora.
TANTI ANNUNCI IDEE PROGETTI – Annunci, idee, progetti tanti (anche Alemanno ce li aveva) ma soldi “nada”, finiti. Tanto che Ignazio, volente o nolente, passerà alla storia come il sindaco dei tagli nell’amministrazione e del dimagramento e sfoltimento delle municipalizzate. Qui dovrà esercitare le sue indubbie capacità chirurgiche scontrandosi con i sindacati, gli interessi corporativi e di potere che sorreggono la farraginosa macchina capitolina con i sui 63.000 dipendenti. Roma è difficile da governare, diceva stamane Alemanno e per il Duce addirittura gli italiani erano ingovernabili, invece Ignazio voglia di governare ne ha tanta, proprio tanta. Solo che di fatto punta solo su se stesso. Marino governa senza tener conto dei partiti ed in particolare del Pd, con il rischio di prendersi qualche bastonata in sede di approvazione del bilancio dove i partiti sono sovrani. Un rifiuto della partitocrazia che potrebbe anche andar bene se Lui avesse il carisma per rivolgersi direttamente a quel popolo romano delle periferie, un po’ plebeo e un po cialtrone, ma molto ‘de core’ che per anni ha garantito il consenso dei sindaci di sinistra che lo hanno preceduto. Lui è convinto, forse a ragione, che anche Rutelli e Veltroni (Petroselli no perché nemmeno l’ha conosciuto) siano corresponsabili dell’attuale disastro. Ma c’è modo e modo di gestire i disastri: alla Schettino, oppure pilotandoli con il consenso di un popolo partecipe e rispettato.
COSA DICONO I SONDAGGI DEL SINDACO – I sondaggi dicono che Ignazio non è molto popolare, forse troppo algido, troppo professorale e primo della classe per il disincantato popolo de noantri. Diciamo allora che a molti non è simpatico, ma alla maggioranza dei Romani soffocati dai rifiuti e strozzati nel traffico, Lui è sostanzialmente indifferente. Una indifferenza che rasenta la rassegnazione di chi non vede futuro per questa città degradata, impoverita , diffidente e ostile alla politica. Una città ferma, congelata nella sua ‘grande bellezza’, sommersa nel chiacchiericcio di promesse comprensibili solo agli addetti ai lavori. L’abbiamo già detto, soldi non ce nessuno più e la festa è finita. Qualcosa qua e la si potrà pur accattare se il Governo riconoscerà almeno 100 milioni per gli extracosti della Capitale e non è detto che l’assessore ai trasporti Improta non la spunti facendosi assegnare direttamente i fondi per il Tpl dal Governo senza passare dalla Regione, ma comunque si giri la frittata il futuro sarà segnato da tagli e sacrifici in una metropoli socialmente allo stremo.
UN’ERA DI TAGLI E SACRIFICI – E allora conta poco che un sindaco sia simpatico o meno, uno vale l’altro, quello che manca è una cultura di governo che rimetta in moto i cantieri, resusciti il sociale del terzo settore e dell’associazionismo, chieda investimenti nell’innovazione ancor prima che per i monumenti, scuota e semplifichi la mostruosa macchina amministrativa, punti sulla partecipazione, l’educazione, il coinvolgimento dei cittadini non solo con i comitati oggi in declino, ma dei circoli, dei centri di aggregazione e cultura. dei sindacati e dei partiti, si proprio quei partiti che Marino non vuole fra i piedi, ma che dal basso possono essere rivitalizzati se coinvolti. Ignazio ha delle idee, talvolta banali talaltra futuribili su modelli anglosassoni che non ci appartengono, ma lui e i suoi una cultura ‘vera’ di governo, del governo di QUESTA città non ce l’hanno. L’acquisiranno? In tempi remoti l’acquisì un ruvido Petroselli morendoci d’infarto e peregrinando per le periferie, poi Rutelli che dopo anni di immobilismo rilanciò la cultura e l’imprenditoria dell’Urbe, seguì Veltroni che della cultura tout court fece il fulcro per il rilancio economico capitolino. Le idee forti di Ignazio sono invece trasparenza, onestà e legalità che potevano incitare le armate giacobine ( prima che attivassero la ghigliottina), ma inadeguate rispetto a quest’era della della conoscenza e della complessità, ma anche di una rovinosa diseguaglianza sociale.
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