“Chi se la canta e chi se la sona”, ma resta il fatto che qualcosa non ha proprio funzionato per il partito di Renzi soprattutto in provincia di Roma. Così mentre il vice presidente della Regione Lazio Massimiliano Smeriglio sostiene che Sel e i movimenti civici reggono complessivamente sia nel Lazio che in tutta Italia, sfida invece i grillini a «fare un po’ meno proclami e cercare di risolvere i problemi concreti delle persone in carne e ossa.»
IL CASO DI CIVITAVECCHIA – Soprattutto a Civitavecchia dove Sel aveva messo in crisi la giunta dell’ex sindaco ed ex onorevole Pietro Tidei ricavandone alla fine un pugno di mosche. Molto cauto invece il giudizio del presidente Nicola Zingaretti che si preoccupa per la scarsa partecipazione al voto, ma ritiene che tutto sommato il centrosinistra ha difeso «importanti posizioni e in alcuni casi ha conquistato Comuni». Giudizio più tranchant quello del neo eurodeputato (ed ex segretario del Pd Lazio) Enrico Gasbarra secondo il quale «quando non c’è in campo Renzi i nodi vengono al pettine». Messaggio che riecheggia un pò la litania dei berlusconiani Doc per i quali senza il gran capo non si va da nessuna parte.
LE PAROLE DI GASBARRA – In sostanza per Gasbarra occorre «adeguare il partito locale alla velocità e modernità della segreteria nazionale». Ma Gasbarra entra anche a gamba tesa nelle polemiche interne che travagliano in particolare il Pd di Roma quando afferma che «al di la delle maggioranze e minoranze costruite su congressi ormai lontani dalla enorme massa di elettori delle europee va costruito da subito e unitariamente un nuovo modello di partito locale aperto e moderno….» Che non è un’affermazione di poco conto poichè di fatto vanifica i risultati dell’ultimo congresso del Pd soprattutto nella Capitale che non votò a favore di Renzi (Gasbarra compreso). Non solo, ma prefigura “finalmente” quel partito liquido con poche strutture e rari congressi che già Veltroni aveva tentato di lanciare, un partito tutto ancorato alla figura carismatica del leader.
RIFLESSIONI DA LIVORNO – Qualche commentatore stamane faceva notare che il risultato di Filippo Nogarin a Livorno segna la fine della presenza di quell’anima vetero comunista del Pd che a Livorno aveva le sue radici, ma anche la fine di quella forma-partito non spiega la forza del M5stelle su tutto il litorale tirrenico da Pomezia, Civitavecchia a Livorno. Forse, molto più banalmente, si è dato per spacciato un grillismo che alle europee è andato sotto solo di qualche punto rispetto alle precedenti politiche e che nel Lazio (ma non solo) potrebbe dare molto filo da torcere alla “new age” di Renzi, che con la nuova legge elettorale rischia di trovarselo a competere per il ballottaggio nazionale.
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