Il Pd romano verso il congresso che non ci sarà

Matteo Orfini taglia corto e sembra cadere dalle nuvole: «Se tutto va bene lo facciamo presto, se non va tutto bene non lo facciamo»

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Qualcuno fra i cultori (sempre meno) della materia, ricorderà la famosa relazione sul Pd romano del prof. Fabrizio Barca, dirigente del ministero del Tesoro sottosegretario con il Governo Monti, ma soprattutto esponente, anche per tradizione famigliare, del Pd. Prima dell’avvento di Matteo Renzi al governo del partito e del Paese e dopo la breve esperienza di governo, si era fatto un giro per i circoli democratici di molte regioni ricavandone un quadro piuttosto sconsolato e proponendo una ‘nuova forma partito’ radicata più sui territori che sulle clientele locali. Un lavoro che gli valse l’apprezzamento di Eugenio Scalfari su Repubblica il quale, se ben ricordiamo, lo propose a Renzi per un importante incarico nella segreteria di quel partito.

IL RUOLO DI ORFINI – Avrebbe potuto anche essere una concessione alla ormai esangue sinistra Pd, ma il leader scelse un altro Matteo, Orfini, che assunse la presidenza dell’assemblea quale benigna concessione alla minoranza. Tanto più che lui veniva dalla scuola del ‘lider Maximo’ D’Alema che lo aveva allevato nella scuderia della sua fondazione Italiani e Europei. Mai speranze furono così mal riposte perché, a parte la comune passione dei due Matteo per i giochi elettronici, di tutto fece Orfini pur di non rappresentare la gracile e divisa minoranza del suo partito.  Acquistata la sua meritata fiducia, Renzi lo manda a commissariale il partito romano nel pieno del casino succeduto a Mafia Capitale. Compito ingrato, ma non difficile per il giovanotto barbuto, perché quel partito lo conosceva benissimo: nelle sue fazioni, nelle sue feroci guerre intestine e anche nel viziato di alcuni per un consociativismo di potere mascherato. E siccome conosceva i suoi polli chiama Barca, che è una persona seria, a scodellargli una indagine che verrà presentata nel giugno scorso.

CATTIVI E PERICOLOSI – Così il professore, preso nella foga del rinnovamento, conia l’espressione di un Pd romano “cattivo e pericoloso” dove la trasparenza del suo operare è vanificata da correnti e capi bastone. I militanti incassano, sino a quando Orfini annuncia tagli e accorpamenti per almeno 27 (su 110) circoli inquinati. Qualcuno fa l’offeso e alza la flebile vocina, poca roba perché fra mafie, rimpasti, commissari, prefetti e soprattutto arresti eccellenti, Ignazio il marziano va comunque sostenuto, pena la possibilità di perdere Roma in caso di elezioni. Con il rischio di far incazzare il grande rottamatore, che con Ignazio lo è già di suo. Passano le settimane e della esemplare punizione ai circoli “cattivi e pericolosi” non se ne parla più, anche perché alcuni di questi non intendono affatto farsi epurare. Invece si comincia a parlare del congresso straordinario del Pd romano, ma Orfini  taglia corto e cade dalle nuvole: «Il congresso? Se tutto va bene lo facciamo presto, se non va tutto bene non lo facciamo». Uno schiaffo ai democratici romani ‘cattivi e pericolosi’ da un dirigente che lo è altrettanto, ma per fini nobili. E mentre si alimenta la suspense del congresso si congresso no, il Kommissar decide chi sarà il prossimo segretario del Pd romano e punta sul capo dei giovani democratici Baldini (vedi link) sul cui nome e giovinezza difficilmente qualcuno potrà obiettare. E pensare che l’ingenuo Fabrizio Barca proponeva un “partito palestra” di democrazia partecipata. Ma va là! L’unica spregiudicata palestra del nuovo Pd renziano è quella dove vince chi colpisce per primo e più duro.

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