E’ dall’ultima vittoria elettorale di Silvio Berlusconi nel 2008 che Alitalia non ha pace nemmeno con i capitani coraggiosi che coraggiosamente riporteranno a casa i loro soldi quando e se la compagnia di bandiera verrà venduta. A pagare naturalmente i lavoratori, centinaia dei quali da quell’anno sono già in cassa integrazione, mentre oggi si parla di un taglio di altri 2000. «Riunione urgente sulla situazione Alitalia per discutere di quella che sta ormai assumendo i contorni dell’emergenza» annunciano allarmantissimi i segretari di Cgil, Cisl e Uil che stanno incontrando i vertici di Alitalia dopo la convocazione del ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi.
Il rischio che la compagnia finisca per portare i libri in tribunale è tutt’altro che sventato per un’azienda che perde un milione di euro al giorno e con una privatizzazione che, dopo sette anni, si è rivelata un bluff mentre Alitalia rimane inefficiente e fuori dal mercato. Un fatto è certo: i vertici della compagnia di bandiera hanno presentato un piano che prevede duemila esuberi, anche se protetti dagli ammortizzatori sociali. Ma come rilevava l’on. Enrico Gasbarrra, segretario regionale uscente del Pd, si tratterebbe comunque di «un nuovo schock per chi subirà il distacco dall’azienda, ma anche per la nostra regione e per l’area metropolitana di Roma, sede di Alitalia, con nuove pesanti ricadute sull’intero comparto aeroportuale».
Particolarmente colpite saranno ancora Fiumicino e Roma dove risiede la gran parte del personale. Solo alla fine di questa trattativa si potrà calcolare con esattezza quanti posti di lavoro è costata la telenovela di Alitalia a Roma e nel Lazio senza che nessuno levi un gridolino di sdegno contro Berlusconi ed i suoi capitani coraggiosi che bloccarono, proprio in campagna elettorale, la cessione ad Air France che Romano Prodi aveva trattato nel 2007 in termini vantaggiosi.
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