L’intervista di Floris a Salvini “Il Santo”

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    L’intervista di Floris a Salvini (Dimartedì, 16 gennaio, tra le 21.30 me le 22.30) andrebbe ripassata alla moviola. Si è trattato di un dialogo tra sordi: Floris accanito sui fatti (la disoccupazione che cresce, il debito pure, etc, etc.) tutti verificati e a prova di fake. Salvini al di sopra dei fatti, e dunque invulnerabile al fact checking, perché ciò che intende comunicare (e, a forza di ripetere la parte, lo fa con straordinaria efficacia) non sono rendiconti, ma identità in contanti. Quell’arroccarsi nella bandiera identitaria, quel ripetere ossessivamente “chi sei” è frutto di sagacia narrativa, che pare venire dritta dritta dalle fabbriche professionali delle storie.
    Gli sceneggiatori di Gomorra o del Commissario Montalbano sanno –e del resto non ce scuola di scrittura che non lo insegni- che la trama serve sì ingaggiare il pubblico accendendo l’attenzione iniziale (di che si parla, dove si svolge, etc etc) ma quel che conta nel decidere dell’esito di una produzione è la “fedeltà” degli spettatori, e cioè la propensione a seguire un film fino in fondo o ad inseguire una serie di stagione in stagione. E come si consolida la “fedeltà”? Non a colpi di trame o con gli effetti speciali, ma lavorando sulla identità dei personaggi, dai protagonisti ai comprimari. Pensiamo, ad esempio, a come ricordiamo, aspettando di ritrovarli, i “tipi” della banda della Casa de Papel, al di là dell’idea (degna degli economisti salviniani) che più moneta si stampa più tutti ci arricchiamo e al di là delle singole circostanze di suspense o sorriso cui da spettatori ci abbandoniamo per subito dimenticarle.
    Salvini, sceneggiatore di se stesso, lo considereremmo dunque, anche al di là delle felpe, delle giubbe, dei rosari e delle palme domenicali, come colui che ribadisce la propria identità di “collettore delle urgenze” (chiamatelo, se volete “parlare alla pancia”) come i Santi protettori messi ai quadrivi a raccogliere le istanze più disparate e contradditorie.

    Ovvio che il fact checking non ne leda l’identità. Quante invasioni dei turchi sono state evitate dalle pie icone messe a guardia degli approdi? Nessuna, ma non per questo i fedeli le hanno abbattute perché ai santi nessuno chiede davvero i miracoli, ma semplicemente di star lì a segnare la identità tua rispetto a quella altrui, i confini di senso del mondo in cui ti arrabatti rispetto a tutto ciò che sopravviene a farti smarrire.
    A dirla in breve, se mai volessimo arginare Salvini, non staremmo tanto a fargli i conti in tasca, quanto gli spaccheremmo in quattro la testa (al personaggio, ben s’intende e non alla persona fisica) per dedurne in contrappunto l’antagonista, quel Re che serve agli scacchi bianchi per contendere ai neri i medesimi bisogni di identità, le stesse pance, le stesse caselle della medesima scacchiera. Altro che antagonismo fra élite e popolo.

    Stefano Balassone

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