Nino Benvenuti, il pugile gentiluomo

Griffith, il Madison Square Garden di New York e i tanti titoli vinti. Dal ring alla tv, ma sempre nel nome della boxe

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Nino Benvenuti si racconta, il pugile è romano d'adozione

Per tutti è Nino Benvenuti, anche se il suo nome vero è Giovanni. Un pugile d’altri tempi, una persona sorridente, disponibile che ti fa amare e appassionare a uno sport a volte duro come la boxe, perchè con le parole ne fa un ritratto meraviglioso. Benvenuti è uno capace davvero di trascinare le folle, ieri sul ring con i suoi incontri che sono nella storia di questo sport e sono scolpiti nei ricordi di tanti italiani, e oggi dal “quadrato” televisivo dove gli incontri degli altri li racconta con la sua voce. Perchè una passione è una passione, e Benvenuti dice che «l’importante è non perdere la strada, ci possono essere molte diviazioni, ma basta che il percorso sia pulito». E lui, pur appesi i guantoni al chiodo, al cinema, in tv e anche quando scrive (è giornalista pubblicista e autore del libro “Il mondo in pugno”) rimane sempre fedele al suo amore per la boxe.

Il pugilato è definito “nobile arte”, ma oggi è cambiato, è diverso rispetto alla disciplina di una volta o è sempre lo stesso?
«E’ rimasto lo stesso nonostante il passare degli anni, perchè le regole di base sono quelle. Devi colpire e cercare di non essere colpito, e devi farlo con i tempi giusti e con dei canoni giusti. Sul ring bisogna essere leali, la lealtà è fondamentale, guai a colpire un avversario malamente. In primis ci deve essere il rispetto verso se stessi, verso l’avversario e verso le regole. Quando abbracci una disciplina la devi rispettare fino in fondo, altrimenti commetti una scorrettezza, e involontariamente ti fai del male da solo. Quando si ama uno sport si rispettano le regole nel profondo. Ricordo ancora quando Griffith fu il primo a dire alt per un colpo errato. È un po’ come nel rugby di cui io sono innamorato, l’educazione e il comportamento sono alla base di tutto».

Lei ha vinto tanto: è stato campione olimpico nel ’60, campione mondiale dei pesi medi tra il ’67 e il ’70,  dei pesi superwelter tra il 65 e il 66 oltre, ha vinto due ori europei e tanti altri premi e riconoscimenti. A quale però è più legato?
«Devo dire che sono tutti belli, però battere Griffith è stato davvero un momento particolare. Ero l’unico a crederci, la mia non era presunzione, sapevo che sul ring ci salivo vivo ma che ne sarei sceso o morto o vincitore. Però un altro momento molto felice è legato alla vittoria nel 1954 a Roma, avevo solo 16 anni e vinsi il 1° Torneo nazionale al Cral dell’Artiglieria. E’ stato in pratica il mio lancio nel mondo del pugilato di alto livello».

Il suo avversario per eccellenza è e resterà Griffith?
«Assolutamente sì. Qualla di batterlo era un’impresa difficile, in un campionato mondiale e dei pesi medi poi. Quando mi arrivò la proposta di andare al Madison Square Garden di New York pensavo di sognare. Era il desiderio di una vita, e quello poteva essere il mio balzo nel futuro, perchè un incontro così ti cambia la carriera. Combattere lì era davvero il massimo anche se non avessi vinto, perchè quello era il ring più importante del mondo. Ero ostinato, ma questo mi dava coraggio e serenità per affrontare il match».

Cosa si prova e come si vivono i minuti prima di salire su un ring?
«Non bisogna essere distolti da nulla. La fase più delicata è il cammino che ti porta dallo spogliatoio al ring, perchè devi essere e restare concentrato, non perdere mai il contatto dal momento in cui suonerà il gong. Bisogna isolarsi, fare training autogeno, mettere via quello che non va bene e tenere in testa solo il buono, non bisogna distrarsi ma restare concentrati. La boxe è una disciplina di confronto, che come dicevo prima, ha delle regole e ci deve essere il rispetto per sè e per l’avversario. C’è il rischio di farsi male, ma io lo dico sempre che frequentare una palestra e fare pugilato fa bene. Anzi invito i giovani a praticarlo e lo dico anche ai genitori. Non bisogna farsi impressionare da un occhio nero o dal sangue al naso perchè da queste cose si guarisce, ma dalle cattive compagnie no. Se sul ring sei corretto, e questa è la prima cosa che viene insegnata, allora lo sarai anche nella vita e gli altri lo saranno con te».

Lei è nato a Isola d’Istria, ma vive da molti anni a Roma, qual è il suo legame con la città eterna?
«Roma è la mia città d’adozione, vivo qui praticamente da sempre, da quella vittoria del 1954. Sono nato in un territorio che ora appartiene alla Slovenia, ma poi sono cresciuto qui dove ho vinto tornei e ho fatto molti ritiri. Di Roma mi piacciono molte cose, ma soprattutto adoro il clima. È la prima cosa bella che uno di fuori nota. Sembra strano ma anche in un inizio di inverno come questo ci sono giornate calde e assolate. Per chi non ha vissuto in un’altra città, forse questa cosa non la comprende a fondo, ma chi come me viene da Trieste l’apprezza molto. Devo ammettere però che noi triestini senza bora non ci sappiamo stare, quando non c’è ci manca».

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