«Esattamente 42 anni fa andavamo in scena a Milano con Mistero Buffo. Era il 1969. Recitavamo in un capannone di una piccola fabbrica dismessa dalle parti di Porta Romana che noi avevamo trasformato in una sala di teatro con il nostro gruppo. In quell’occasione Franca ed io ci alternavamo sul palcoscenico eseguendo monologhi di tradizione popolare, tratti da giullarate e fabliaux del medioevo, non solo italiane, ma provenienti da tutta Europa». Così ricorda Dario Fo l’esordio del suo spettacolo più celebre e amato, che ritorna in scena dopo più di quarant’anni al anche a Roma, all’Auditorium della Conciliazione, proprio con Dario Fo e Franca Rame. Un evento unico e irripetibile, il ritorno sulle scene della coppia di ferro del teatro comico italiano non è affatto affare comune.
Dopo aver portato “Mistero Buffo”in giro per l’Italia per decenni, ottenuto il prestigioso riconoscimento del Premio Nobel per la letteratura, l’ottantacinquenne Fo non sembra riuscire a stare lontano dal suo amato palcoscenico. Il teatro secondo Fo è una operazione piuttosto spiazzante. E’ frutto di approfondite ricerche nel teatro popolare, consapevole che sia esso portatore di una enorme ricchezza espressiva e culturale. Il testo che ne nasce è open source, aperto a nuovi apporti che la ricerca culturale presso le tradizioni popolari sia in grado di riportare alla luce. Questa ricetta ha segnato da sempre la formula di Mistero Buffo. «Lo spettacolo ottenne grande successo –spiega Fo – e venne replicato centinaia di volte nel nostro teatro di via Colletta, in palazzetti dello sport, chiese sconsacrate, locali cinematografici, in balere e perfino in teatri normali. Mistero Buffocercava di dimostrare che esiste un teatro popolare di grande valore, nient’affatto succube o derivato da testi della tradizione erudita, espressione della cultura dominante».
Non tutto il mondo culturale mostrò di comprendere l’alto valore di questa ricerca. D’altra parte la forma di spettacolo non era certo quella compìta esecuzione declamatoria di certo teatro intellettualistico anni Settanta, né una selezionata partitura di latinismi e citazioni colte. Andavano in scena i canti medievali di Cielo D’Alcamo in un dialetto vicinissimo al suo originale, c’era spazio per quel linguaggio tutto singulti e grugniti accompagnati da gesti e mimo, si esercitava il linguaggio dello spettacolo più antico che si serviva delle parole ma soprattutto del corpo. Certa critica amava ripetere ai nostri pionieri del colto teatro popolare che non esiste una forma espressiva popolare autonoma perché l’unica cultura autentica e di pregio è quella espressa dal “potere dominante”, per dirla con una espressione molto cara a quegli anni di sapore post-sessantottino. Ma una schiera di voci critiche si levò pian piano a sostegno del valore culturale di questa operazione, con nomi illustri come Pitrè, Toschi e De Bartholomeis, Tullio de Mauro. Addirittura, Gianfranco Folena dedicò a Mistero Buffoun intero capitolo di un suo noto saggio “Il Linguaggio del caos”: «l’interlingua teatrale di Fo – spiega Folena – non richiede dal pubblico per essere intesa specifiche competenze dialettali perché la mimica, il lazzo, l’onomatopea compensano l’apparente arbitrarietà linguistica e la carenza semantica e perché Fo, grandissimo mimo, padroneggia da maestro le tecniche del discorso e della narrativa popolare. […] Se volete godervi per esteso il significato di giullare, se pur tradotto nel nostro tempo, andate ad assistere a qualche brano di Mistero Buffo messo in scena da Franca Rame e Dario Fo. Lì potrete ottenere un’idea del tutto credibile di cosa fosse il teatro satirico dei giullari medioevali». Poi arrivarono i successi anche all’estero, in Inghilterra, Spagna, in Grecia e in Russia, finchè un viaggio in Cina diede un nuovo impulso all’arricchimento dell’opera con l’inserto di un pezzo di cultura popolare locale la “Storia della tigre”. «Così, ad un certo punto, ci accorgemmo recitando a Roma nello chapiteau di un circo viaggiante che raccoglieva più di 2000 persone che la mole del testo di Mistero Buffo si era ormai decuplicata», dice Fo.
Per lo spettacolo in scena all’Auditorium, Fo e la Rame hanno selezionato il fior fiore del moltissimo materiale realizzato in questi anni, con l’intento di tornare ad emozionare con una delle rappresentazioni teatrali italiane più appassionanti e longeve.
Daniele Stefanoni