Marina Massironi è la protagonista del dramma sulla violenza domestica “La donna che sbatteva nelle porte”, che ha debuttato ieri alla Sala Umberto in via della Mercede.
Conosciuta al grande pubblico per il sodalizio artistico con il trio Aldo, Giovanni e Giacomo e vincitrice del David di Donatello e del Nastro d’Argento per il ruolo della svampita massaggiatrice nel film di Paolo Soldini “Pani e tulipani”, Marina Massironi ha continuato ad alternare cinema, televisione e teatro e ora affronta per la prima volta l’avventura di un monologo e si cala nel ruolo di Paula, una donna alle soglie dei quarant’anni che ha già vissuto più vite e sofferto più di quanto le sue fragili spalle sembrano poter sopportare.
Tratto dall’omonimo romanzo dell’irlandese Roddy Doyle, è la storia tormentata di Paula. Da adolescente cercava di fuggire via da una famiglia che non era in grado di amarla, con un padre misogino e una madre sottomessa, e da una scuola nella quale non è riuscita ad inserirsi perché le venivano affibbiate troppe etichette: strana, stupida, amorale. Sullo sfondo, la vita quotidiana nei quartiere popolari di Dublino. E poi all’improvviso l’incontro magico con lui, l’uomo che tutte desiderano: il bello, vincente, sicuro, carismatico Charlo. Il ragazzo più desiderato del quartiere sceglie proprio lei, la ragazza che nessuno voleva, e ne fa la propria donna, la “Signora” Spencer. L’unione con Charlo porta finalmente a Paula finalmente l’amore, il romanticismo, il rispetto, la felicità, il sesso, il riscatto, una famiglia tutta sua, la nascita di quattro figli. Ma ben presto tutto questo si rivela un’illusione, uno stato di grazia che dura poco. Charlo beve pesantemente e alla fine perde il lavoro. La sua vita precipita improvvisamente negli abissi di un dolore fisico e del disagio psicologico. Si innesca una spirale di violenza fisica e psicologica che sconvolge Paula. Sbatte la testa contro le porte, Paula. Ogni volta giustifica così sé stessa e suo marito per le continue violenze inflitte e subite. E quello sbattere la testa nelle porte diventa anche una metafora della situazione e della brutalità di Charlo. La sua vita con il marito diventa un inferno e lei inizia a sentirsi come una mosca prigioniera dentro un bicchiere. E presto anche per Paula quel bicchiere comincia a riempirsi di alcool. Ecco allora farsi avanti serpeggiando i sensi di colpa nei confronti dei figli, la paura, la vergogna. I medici non riescono a capire o forse preferiscono ignorare. Tutti si accontentano di quelle giustificazioni e non vogliono vedere i lividi e le percosse. E la stessa Paula non è in grado di raccontare la verità. Accetta la loro indifferenza con quella rassegnazione tipica di chi è stato abituato a non aspettarsi niente dalla vita. Il romanzo di Doyle, uscito in Italia nel 1997 per Guanda, è riuscito a descrivere con sorprendente sensibilità l’universo emotivo femminile e un contesto così particolare come la violenza domestica. Nella sua riduzione teatrale, la storia di Paula diventa un monologo. Tutto viene raccontato come un flash back ed è la stessa protagonista a raccontare la propria vicenda sulla soglia della propria abitazione. Ricordi, domande, lo stupore di essere arrivata a quel punto di non ritorno. E alla fine Paula trova in sé la forza di ribellarsi a tutto ciò e riesce a buttare fuori di casa il marito alcolizzato e violento.
Il regista Giorgio Gallione e lo scenografo Guido Fiorato hanno scelto di ambientare lo spettacolo in un’unica stanza interamente foderata di prato e su cui poggiano gli oggetti simbolo della casa: il frigorifero, la lavatrice, il forno, ma distorti e cadenti. La scena rappresenta così uno spaccato della vita in casa Spencer ma a metà: un ibrido fra interno ed esterno. La storia della donna che sbatteva nelle porte ha avuto un seguito, che racconta la dure battaglie che Paula affronterà per i propri figli. Lo spettacolo, prodotto dalla Fondazione Teatro dell’Archivolto di Genova, resterà in scena fino al 5 febbraio.
Chiara Cecchini