Nessuna licenza di uccidere, ma tutto il potere per farlo. “I can kill you”, il nuovo progetto del fotografo Giovanni De Angelis (da oggi fino al 3 marzo alla Co2 Gallery), svela già nel nome l’essenza di una verità umana sì scomoda da ammettere, eppure a tutti gli effetti naturale.
Anzi, a pensarci bene, la più naturale possibile. Reduce dal successo della mostra “Water drops” al MACRO, che affrontava il tema della gemellarità nella terra brasiliana di Rio Grande Do Sul, l’artista napoletano sposta – è proprio il caso di dirlo – il mirino della propria indagine antropologica sugli individui protagonisti della società urbana, alla ricerca delle infinte sfaccettature di una quotidianità rotta dall’improvvisa e destabilizzante introduzione di un’arma da fuoco. Il cosiddetto raptus, con la sua incomprensibile violenza del momento, diviene il “medium” ideale per analizzare vie e vicoli ciechi della mente umana, pronta a perdersi nel buio dell’assenza di controllo e a commettere azioni drammaticamente irreversibili.
Ambientati a Riga, in Lettonia, terra di lunghi, freddissimi inverni caratterizzati da pochi sprazzi di luce giornalieri, gli scatti di De Angelis scavano nella normalità solo apparente di un nutrito gruppo di persone: in ognuno di loro, infatti, il reporter classe 1969 trova la possibilità recondita di cedere all’atto violento, dettato dal confluire di diversi fattori personali, sociali, geografici e anagrafici. Contesto metropolitano e attitudine comportamentale finiscono così per intrecciarsi inevitabilmente, anelli irrinunciabili di un processo circolare che sfoga all’esterno niente meno che sul pubblico, attore involontario e destinatario di un proiettile virtuale colmo di rabbia e impulsività. Colmo di umanità.
Francesco Gabriele