Valerio Verbano, un ragazzo romano appena diciannovenne, venne ucciso da un colpo di pistola alla nuca il 22 febbraio 1980. Tre persone dal volto coperto fecero irruzione nel suo appartamento al quarto piano di via Monte Bianco, nel quartiere “rosso” di Monte Sacro, sequestrarono la famiglia e, quando Valerio entrò in casa, lo uccisero. Da allora sono passati trentadue anni e la madre di Valerio, Carla, non ha mai smesso di cercare la verità sulla morte del figlio, ucciso a pochi metri da lei. Prima di quell’evento Carla Verbano non si era mai interessata di politica ma all’improvviso si trovò catapultata nella cruenta realtà di quegli anni.
Studente al liceo scientifico Archimede, Valerio era vicino all’area di Autonomia Operaia e raccoglieva informazioni e fotografie sull’estremismo di destra romano, dimostrandone i collegamenti con gli apparati statali e segnalando nomi, amicizie, legami politici, luoghi di incontro. Quel dossier non è mai stato restituito alla famiglia dopo la morte di Valerio, solo poche pagine e qualche immagine sbiadita. Mario Amato, il magistrato che si occupava dei processi legati al terrorismo nero, aveva avuto in mano il dossier di Verbano e sarà ucciso alla fermata dell’autobus il 23 giugno 1980 dai Nar.
E Carla Verbano non si è mai arresa all’assurdità degli eventi, continuando a cercare la verità sugli assassini del figlio, ricostruendo minuziosamente date, nomi e fatti. A cinquant’anni Carla Verbano ha imparato a sparare per difendersi dalle minacce, a ottant’anni ha imparato a navigare in internet, ha aperto un blog e una pagina su Facebook per cercare gli assassini del figlio, per incontrare i compagni di Valerio, i suoi amici di allora che non l’abbandonano mai e i ragazzi di oggi che conoscono la storia. È rimasta ad abitare in quella stessa casa e la sera si siede davanti al computer nella stessa stanza dove c’è il divano, ancora quello, sul quale morì Valerio. Ma forse qualche nebbia inizia a diradarsi, visto che nel febbraio 2011 la procura di Roma ha riaperto l’inchiesta sulla morte di Valerio.
Dal 14 al 19 febbraio, Alessandra Margini, “attricecontro”, porta in palcoscenico al Teatro Ambra alla Garbatella la versione teatrale del suo reading “Rosso Vivo”, liberamente tratto dal libro che Carla ha scritto con il giornalista del Corriere della Sera Alessandro Capponi, “Sia sfolgorante la fine”. La vicenda viene narrata dal punto di vista di Carla Verbano, madre coraggio trasformatasi in investigatrice alla ricerca della verità che ha incontrato negli anni poliziotti, ex-terroristi, carcerati, familiari di altre vittime per cercare di capire e scoprire il colpevole, interpretata dalla Magrini. Sul palco insieme a lei, nei panni di Valerio, c’è un giovane studente del collettivo del liceo Mamiani. Attraverso i ricordi di Carla Verbano, Alessandra Magrini dispiega un viaggio in quegli anni bui, fatto di ideali violenti contrapposti e oscuri, ma tra le righe si ricostruisce anche la breve vita di Valerio, la passione per la fotografia, l’impegno politico, lo studio, cercando insieme di dipanare la matassa di segreti che si aggroviglia sulla morte del ragazzo.
E il rosso del titolo rimanda all’ideale politico, alla passione e al dolore di Carla Verbano che continua a lottare contro tutto e tutti, al sangue versato, al colore delle scritte sui muri (contrapposto alle «troppe scritte nere sui muri» che cantava Antonello Venditti a piazzale degli Eroi, roccaforte missina degli anni Settanta). Ma anche «rosso come il sole giovane che non può morire, rosso vivo come Valerio, Valerio Verbano», spiega Alessandra Magrini nelle note di regia, «convinta che il teatro sia strumento importante per istigare lo stimolo al cambiamento». Sul palco ci saranno anche una performance di arti marziali, una delle tante passioni di Valerio, a cura della Palestra Popolare Valerio Verbano, sorta nel 2008 nel quartiere popolare del Tufello. La stessa Carla potrebbe salire sul palco per raccontare lei stessa quegli avvenimenti. Un tuffo indietro nel tempo, un viaggio con il fiato sospeso nei terribili anni di piombo, per raccontare una parte di storia italiana che a volte si preferisce dimenticare o ridimensionare.
Chiara Cecchini