Bugo, nessuno e centomila. Sono passati dodici anni dall’esordio su scala nazionale del “Menestrello” novarese Cristian Bugatti: dodici anni e otto album per la precisione. Eppure Bugo – stasera in concerto all’Angelo Mai – un’identità definita ancora non l’ha trovata. E non è detto che l’abbia mai cercata. S’è fatto conoscere come il “Beck de noantri”: folkeggiava su palchi e palchetti di provincia con la sua voce acidamente roca e i suoi temi profondamente superficiali. Parlava di “Bottiglie di uischi” e “Spermatozoi”, “Aspettando il verde” con “Il pepe nel culo”. Poi la Universal ha notato Bugo, e Bugo è diventato Universal. Qualcuno non l’ha riconosciuto più, ma tutti gli altri si sono accorti finalmente di lui. Colorato, pop, sciattochic: con “Contatti” (2008) Bugo è il cantautore “sui generis” che danza sui generi. Il sound piace, l’album vende: sembra la svolta e la meta definitiva. Invece no, a capodanno scorso esce “Nuovi rimedi per la miopia” e Bugo è più serioso. Più grigio. Senza motivo (e senza convincere). Ma tant’è, cambierà ancora.
Fra. Ga.