Le bocche incorniciate dai folti baffi. Le cosce dure e i torsi muscolosi. I sentieri pelosi su corpi imperfetti descritti come mappe di un viaggio. I maschi accalcati al Manhattan, che è un bar in boulevard Saint Germain, a Parigi. Parigi quando è buio. Milano quando è buio. I sessi, quelli grossi e quelli no; gli avambracci, quelli grossi e basta. Una moltitudine di stanze. E una sola mansarda arrampicata al settimo piano. Le amicizie. Gli abbordaggi. Le natiche. Parigi quando è giorno. La spiaggia di San Francisco quando è giorno. Parla di questo – anche di questo – Tricks. Che non è un romanzo ma un diario in cui lo scrittore francese Renaud Camus ha narrato sei mesi di incontri sessuali. “Trick”, annota Roland Barthes nella prefazione, “è l'incontro che accade una volta sola: più di un adescamento, meno di un amore”. Era il 1978 quando apparve la prima edizione del libro e «da allora è cambiato tutto» racconta dalla Francia Renaud Camus. «L’avvento dell'Aids ha rivoluzionato questo tipo di relazioni. E io mi ritrovo dispiaciuto per la libertà assoluta scomparsa, la sessualità totale del tempo e ancor più, forse, dello spazio, del fatto che non esistesse soluzione di continuità tra il desiderio, l’amore e il piacere da una parte, e la strada, i giardini e le città dall’altra». «Si arrivava» in un posto «senza conoscere neppure la lingua e ci si poteva ritrovare tranquillamente al mattino fra braccia sconosciute al centro di una stanza stranamente familiare». In quegli anni, quegli incontri, possedevano «una ripida immediatezza» e un «collegamento stretto con la geografia e lo spazio sensibile»; «avevano molto poco della finzione» e «facevano confondere per un momento la realtà con i sogni». «I nostri rapporti sessuali» – le migliaia di ore sacrificate a inseguire piaceri che somigliano a esauribili amori, amori sull’uscio, un poco cominciati e un poco no, come ai primi respiri – «potevano essere precipitosi, quasi farseschi» e non per questo «meno sentimentali, affettuosi, carichi di benevolenza». «Eravamo pieni di riconoscenza per coloro che ci facevano il meraviglioso dono del piacere». A quelle avventure, sostiene Camus, «devo il mio migliore amico, il pittore e scrittore Jean-Paul Marcheschi. Ma anche le ombre dei giardini, anche le figure più passeggere, anche i mai più rivisti hanno lasciato un sentimento d'esser stato là, d'aver abitato le città, d’essere entrato nelle camere da letto, d’aver abitato la terra». Percorrere le pagine di Tricksè come visitare un mucchio di luoghi e case e bar e anfratti, e sempre intimi, persino quando sono affollati; significa guardare facce il più delle volte indimenticabili, belle raramente, e annusare corpi e toccarli e avventurarsi in desideri che si somigliano e sono eternamente uguali eppure pulsano daccapo ogni notte: rinnovati, desideri che non conoscono sazietà; significa provare una fame di uomini. «A quell’epoca le T-shirt americane proclamavano: “so many men, so little time”, “così tanti uomini, così poco tempo”. Ecco: i ragazzi erano come libri, racconti, erano come storie: avevamo la stessa bulimia del lettore di romanzi o di poesie». E non c’era il tempo per innamorarsi, non se innamorarsi voleva dire promettersi a uno soltanto e per una vita; «ti rendi conto d’aver amato qualcuno che sei già lontano nello spazio e nel tempo, sulla scala che si scende al mattino o trent’anni più tardi, ritrovando una vecchia fotografia in un cassetto», spiega Renaud Camus, e forse non è rimpianto questo che s’annida fra le sue parole, somiglia più a una nostalgia: d’un tempo finito, di molti amanti perduti. «Ho l’impressione che oggi i rapporti siano più asciutti, sospetti, più staccati dalla vita sociale, dalle amicizie, dai viaggi, dai modi di abitare lo spazio. Mi sembra ci sia assai meno erotismo, che i patti sessuali passino più per internet e meno per le strade. Ma ho sessantacinque anni», si lascia poi andare Camus, «e può darsi che sia soprattutto io ad essere cambiato. Può darsi che le case, le camere, i giardini e le città siano accoglienti anche oggi per i diavoli innamorati di venti o trent’anni». Che sapranno pure loro, come Renaud, un giorno ricordare d’avere amato: pure soltanto per un paio d’ore, un mercoledì che non ebbe notte; pure senza sapere, e a chi importa, il nome di quello che hanno amato.
Christian Poccia