Nell'immaginario collettivo, “Colazione da Tiffany” fa rima con Audrey Hepburn che cammina trasognata sulla Quinta Strada all'alba, con un vestito da sera, occhiali da sole, caffé e croissant, fermandosi a guardare le vetrine del gioielliere newyorkese. Questo infatti è l'incipit dell’omonimo film diretto nel 1961 da Blake Edwards e tratto dalla novella di Truman Capote.
La pellicola prende molto dal testo originale ma lo riadatta alla Grande Mela degli anni Sessanta, ne fa una commedia sentimentale tra le più scontate e al tempo stesso inaugura un nuovo tipo di donna single per la Hollywood di quegli anni (come descritto perfettamente da Sam Wasson nel libro "Colazione con Audrey", edito da Rizzoli). Eppure niente di tutto questo sarà nell’adattamento in scena da stasera al Teatro Eliseo: l’ispirazione è semmai la novella e la biografia stessa di Truman Capote. La storia è quindi ambientata nel 1943, tra boccoli e scarpe con la zeppa, rievocata nel 1957 al bancone del bar di Joe Bell, che ripercorre con lo scrittore William Parson gli anni che quest’ultimo ha vissuto in un vecchio appartamento dell'East Side e come la sua vita sia stata sconvolta dalla presenza di Holly Golightly, una giovane “call girl”, aspirante attrice e aspirante moglie di uno a scelta fra i venti miliardari più ricchi di ogni razza e colore d'America. Holly viene dal profondo Sud, è venuta a New York attratta dal bel mondo di Manhattan ed è finita in mezzo a personaggi equivoci come il mafioso Sally Tomato, che lei va a trovare regolarmente a Sing Sing per poi riferirne al suo avvocato O'Shaughnessy, il miliardario nazista Rusty Trawler, l’ex attrice diventata giornalista di gossip Middy Munson, Joe il barista (innamorato di lei) e tutto il corollario di varia umanità che gravita intorno al sottobosco del jet set e dello spettacolo di serie b: agenti, fotografi di moda, ex modelle, ex attrici, giornaliste pettegole. I due diventano amici, lui le ricorda il fratello Fred, lei è per lui uno strano essere incomprensibile e affascinante. Il rapporto procede tra alti e bassi: la ricomparsa del primo marito di Holly, venuto a reclamarla per riportarla a casa nel loro ranch del Texas, la relazione con il diplomatico brasiliano Josè Ybarra-Jaegar che sembra aprire per Holly lo spiraglio per una nuova vita, la perdita del bambino che aspettava da Josè, l'arresto per complicità con i loschi traffici di Tomato e O'Shaughnessy. Fino alla rottura definitiva: abbandonata da Josè, Holly decide di partire da sola per il Brasile per trovare lì un marito adatto alle sue ambizioni. Quando William e Joe si ritrovano nel 1957, le uniche notizie che si hanno di lei la danno forse in Africa, per un servizio fotografico con Yunioshi di Harper's Bazaar.
L’adattamento di Adamson (portato sulle scene per la prima volta nel 2009 all'Haymarket di Londra) ricostruisce fedelmente il testo di Capote, sottolineando maggiormente il punto di vista di William (nel romanzo, un semplice Io narrante anonimo), dietro il quale fa capolino lo stesso scrittore. «Holly non conosce quello che ama se non quando lo ha buttato via ma è lei che consente a William di diventare Truman, che gli insegna la leggerezza e l’accettazione degli altri e di sé, che gli consiglia cosa scrivere e perché, ma senza nessun moralismo, senza pesantezza», spiegano le note di regia di Piero Maccarinelli. Lo spettacolo si ispira al mondo di Capote, sottolinea l'affinità tra Holly e la madre dell’autore di “A sangue freddo”, spesso lontana da lui per frequentare amicizie fatue e ambigue a New York, in aperta ribellione al conformismo americano degli anni Trenta e Quaranta. Un personaggio che più che Audrey Hepburn richiama molto Marilyn Monroe, l’attrice che Capote avrebbe voluto come protagonista del film tratto dalla sua novella. La stessa Francesca Inaudi, protagonista della pièce all’Eliseo, ha dichiarato di essersi ispirata proprio alla Monroe, dando vita a un personaggio più carnale e malinconico. Come nel libro, il destino finale di Holly è incerto e rimaniamo tutti in attesa insieme a William (interpretato da Lorenzo Lavia) di conoscere il nuovo indirizzo di Miss Golightly e di sapere se avrà dato un nome al gatto e tolto dal citofono la scritta “in transito”.
Chiara Cecchini