Ennio Fantaschini e Isabella Ferrari raccolgono il testimone di Bernard Giraudeau e Fanny Ardant e portano nuovamente sulle scene italiane la commedia "Il catalogo" di Jean Claude Carriére. Da oggi fino al 1 aprile al Teatro Quirino, i due saranno i mattatori di questo testo delicato e divertente, che scandaglia le dinamiche che legano improvvisamente un uomo e una donna, riuniti insieme nello spazio violato della casa di lui e che poco a poco si trasforma in una storia d'amore.
Fantastichini è Jean-Jacques, un avvocato in carriera, un Don Giovanni che miete vittime nella Parigi bene, tra serate mondane e vorticosi giri di donne che lo costringono a catalogare in un album tutte le sue conquiste perché totalmente privo di memoria. Un equivoco lo fa incontrare con Suzanne, misteriosa donna alla ricerca di un certo Philippe Ferrand, che si installa a casa sua, entrando di prepotenza nel suo rifugio e andando a sconvolgere l'ordine maniacale che regna nel monolocale come nella vita di Jean-Jacques. Da qui prende vita un tragicomico incontro-scontro tra quelle che in realtà sono due solitudini che si trovano, un uomo e una donna che vengono da universi paralleli e apparentemente estranei, alle prese con l'incomunicabilità. Il tema caro sia al teatro sia al romanzo tardo novecentesco, ossia l'impossibile incontro da un uomo e una donna, viene riletto nel 1968 da Jean Claude Carriére con uno stile leggero e brioso che richiama la leggerezza delle partiture settecentesche: leggerezza che però non vuol dire semplicità, come dimostra la musica di Mozart. Il titolo originale è "L'aide-mémoire" (letteralmente "il promemoria") ma l'adattamento italiano di Valerio Binasco, anche regista, si ispira dichiaratamente al "catalogo" delle conquiste operate dal don Giovanni mozartiano che il servitore Leporello snocciola con compiacimento davanti agli occhi esterrefatti di donna Elvira. Jean-Jacques è tanto dirompente nella sua vita notturna di seduttore quanto ordinario e nevrotico nella vita di tutti i giorni, in ufficio e in casa. E proprio la Casa, il rifugio, il nido, viene invaso da una presenza femminile, una sorta di «ragazza con la valigia» come la definisce Binasco nelle note di regia, che in questo modo è come se privasse Jean-Jacques della sua intimità così tranquilla e «disgustosamente maschile». «È un po' una nemesi: il mito di don Giovanni vuole l'aria aperta – spiega Binasco – L'avventura non è mai pericolosa per lui, lo è, al contrario, solo la sua casa: se ci fate caso è proprio quando don Giovanni sta nella sua casa che si spalancano per lui le porte dell'inferno». Jean-Jacques, come tutti «i piccoli e nevrotici don Giovanni moderni hanno invece belle casette che li salvano dall'avventura».
E non è un caso che l'Avventura sia un termine femminile, rappresentata dalla femminilità evanescente e magica del personaggio di Suzanne, capitata per sbaglio (forse) proprio in quella casa. Non contenta di esservi penetrata, Suzanna rovista nell'intimità di Jean-Jacques trovando il suo segreto gelosamente custodito: quello stesso "aide-mémoire" nel quale l'avvocato mette nero su bianco quello che nessun altro sa di lui. Il taccuino con il catalogo chiuso al sicuro nel cassetto rappresenta il cuore di Jean Jacques, altrettanto chiuso e messo al sicuro per non essere esposto al pericolo più grande: l'amore. Un po' come la straziante confessione di Michele Apicella, altro scapolo all'apparenza esemplare dalla casa immacolata che però nascondeva inconfessabili segreti e pericolose nevrosi, nel morettiano "Bianca" («Perché tutto questo dolore? Io mi devo difendere»). Ma anche la vita di Suzanne è un segreto, nel suo essere al tempo stesso luce e ombra, limpidità di sentimenti e oscurità di vita passata. Un personaggio per Binasco riporta immediatamente a «uno di quei film meravigliosi di certa Nouvelle Vague, che si accanivano a scoprire l'assurdo delle storie d'amore e di quell'assurdo finivano per innamorarsi e farci innamorare». Dietro le anime imprigionate dei due protagonisti «c'è un mondo segreto, meraviglioso e senza colpe» che «solo l'amore e il coraggio che l'amore sa donare» possono liberare, in quello che «sembra solo un gioco crudele ma è un gioco divino».
Chiara Cecchini