Una leggenda nel mondo del calcio racconta di un Luciano Moggi sornione, correva l’anno 2007, che pizzicato dalla stampa sul talento del milanista Kakà rispondeva: «Uno che si chiama così non può certo giocare nella Juventus». Per la cronaca, il giocatore brasiliano aveva vinto da qualche giorno l’ambito premio del Pallone d’Oro: era dunque il miglior calciatore d’Europa. Menomale che alla Universal non ragionano così, altrimenti che fine avrebbe fatto uno come Alessandro Mannarino? Non certo quella attuale, che poi in realtà è un inizio luminoso. Perché il cantautore romano è un punto fermo della celebre casa discografica, emancipatosi ormai da palchi e palchetti della Capitale (battuti uno a uno per anni e ancora anni) e pronto ad approdare stasera e domani addirittura sul nobilissimo parterre dell’Auditorium Conciliazione, dove concluderà il fortunato tour “L’ultimo giorno dell’umanitá” (andato esaurito ovunque).
Sono un ricordo i tempi del “dj con la chitarra”, quando si esibiva in strane session a cavallo tra il djing e il live acustico, così come quelli della “Kampina”, la band folk che formò nel 2006 al ritmo di trombone, basso, fisarmonica, batteria, violino e chitarra. Esperienze lontane nella memoria eppure mai uscite dal cuore del baffuto artista. E’ merito di quella gavetta se si è fatto conoscere, apprezzare, seguire e poi inseguire: performance dopo performance, festival dopo fesival, club dopo club e piazza dopo piazza. Da stornellatore de noantri Mannarino s’è guadagnato – cum laude – la promozione al ruolo di cantautore metropolitano, con le sue musiche di confine, eclettiche e contaminate. E ispirate ai suoni e ai volti di una via Casilina globalizzata dove Gabriella Ferri passeggia con Manu Chao e Domenico Modugno va a braccetto con Cesaria Evora.
Nei suoi testi, macchiati dai forti toni del surrealismo, si vivono storie oniriche e tragicomiche di pagliacci, ubriachi, zingari e innamorati. Partendo da sonorità e ritmi della musica popolare italiana, il talento messo in luce dalla Dandini nella trasmissione “Parla con me” condisce il proprio mondo con elementi di musica balcanica e gitana, citazioni felliniane ed evoluzioni circensi. Due album alle spalle e una recente raccolta intitolata “Capitolo uno” – che contiene anche l’inedito “Vivere la vita” – nella duegiorni al Parco della Musica rivisiterà per l’ultima volta, in chiave teatrale, i brani estratti dai suoi dischi “Il bar della rabbia” e “Supersantos”. Uno show ammaliante fatto di atmosfere e odori della strada, di ricordi e di speranze. Di sogni e di illusioni. Per mettere il punto al primo capoverso di una vita artistica che comunque sa già da dove ripartire. E cioè dal Foro Italico, il 4 luglio, prima tappa del prossimo tour di “Supersantos” intitolato guarda caso “The Resurrection”.
Francesco Gabriele