Le immagini in tv dell’immondizia a Napoli mortificano le intelligenze delle persone civili. Persone in qualche modo “costrette” a usare luoghi pubblici per depositare i loro rifiuti casalinghi, in assenza di alternative, grazie a un governo del territorio e uno stato “banditore” capace solo di fare annunci a effetto. Ma c’è altra gente che di proposito se ne infischia della “cosa comune”. Stiamo parlando di coloro per i quali i prati, le acque, l’aria, possono essere usate come “secchio dell’immondizia”: dove scaricare sostanze o cose che devono invece avere altra destinazione o trattamento. Una sottocultura delinquenziale che sta appestando ampie fette del territorio nazionale e Roma non è da meno, perché anche qui si seguita a scaricare di tutto e ovunque e continua anche l’inchiesta di Cinque Giorni sulle discariche cittadine.
Sul lato sinistro del Tevere, lungo la complanare del Gra che porta alla stazione di Labaro, accanto alla diga di Castel Giubileo c’è un’area verde al confine tra IV e XX Municipio. Per “Roma Natura” quest’area, oggi discarica, non è di sua competenza, ma Enel e Terna hanno qui loro impianti e potrebbero essere i soggetti chiamati in causa per metterla in sicurezza: con la pulizia dell’area e la chiusura dell’accesso. In questo, si nota l’assenza dell’Autorità di bacino del Tevere. Nel suo “Piano stralcio Ps1” è prevista la salvaguardia delle aree naturali di esondazione del Tevere e dell’ecosistema fluviale. Intenzioni che si scontrano con quelle quantità “industriali” di cassoni e lastre di eternit, lana di vetro, calcinacci, mobili, frigoriferi, scarti di carrozzeria e tanto ancora, lì presenti da tempo e in continuo aumento.
Ma un’ipotesi inquietante è stata fatta da alcuni cittadini: nei laghetti a fianco e specie in quello di destra, potrebbero essere stati scaricati fanghi di depurazione e sostanze tossiche. Sul posto ancora visibili tracce di grossi pneumatici fino al bordo e l’insieme, rende l’idea: scarsa vegetazione e resti scheletrici di alberi che spuntano da un fango chiaro (visibile nelle immagini di Google Earth). Magari con un intervento del Noe dei Carabinieri, Corpo Forestale dello Stato e Arpa, potremmo saperne di più su queste “cattive abitudini” che potrebbe costare care a chi fosse colto sul fatto. Perché per questi reati, previsti dal Codice dell'Ambiente (Dlgs 152/2006), c’è l'arresto da 3 mesi a 1 anno e da 6 mesi a 2 anni, oltre all’ammenda da 2.600 a 26mila euro, se si tratta di rifiuti non pericolosi o pericolosi. Allora, a quando i maggiori controlli?
Maurizio Ceccaioni