Scritture private, accordi verbali, subaffitti, comodati d’uso irregolari, locazioni di singole camere o, nella migliore delle ipotesi, contratti di locazione registrati per un importo inferiore a quello corrisposto. Questa la variegata gamma di espedienti e scorciatoie truffaldine escogitate nella capitale dai furbetti del mercato nero degli affitti, un esercito composto da decine di migliaia di locatari che muovono ogni anno un giro d’affari da milioni di euro.
Nella maggior parte dei casi si tratta di unità abitative che ospitano studenti fuorisede, immigrati e famiglie a basso reddito, ma anche giovani precari e pensionati che vivono in affitto senza contratto, in favore di proprietari parassiti che lucrano enormi somme esentasse producendo un buco nell’erario di dimensioni esorbitanti. Basti pensare che solo nella capitale gli studenti fuori sede (più o meno il 40% degli inquilini in nero) sono circa 87 mila, mentre gli immigrati (l’altro 40%) regolari residenti a Roma e provincia, secondo stime di Istat e Caritas, si attestano attorno ai 350 mila. Insomma, un bel gruzzolo di soldi che spariscono, è proprio il caso, sotto il mattone.
Da giugno dello scorso anno, però, a tutti gli inquilini strozzati da canoni d’affitto esorbitanti viene data un’opportunità insperata di pagare meno, far venire a galla il sommerso e risolvere qualche bruciore di stomaco a chi le tasse le paga e puntualmente. Questo in virtù del Decreto Legislativo n. 23/2011, la cosiddetta cedolare secca, un provvedimento che introduce gravi sanzioni per i proprietari che affittano in nero o che non registrano i contratti entro 30 giorni dalla stipula. Con la nuova normativa, infatti, l’inquilino può autonomamente registrare il contratto (anticipando il versamento dell’imposta dovuta) e ottenere contestualmente un affitto di 4+4 anni a un canone di locazione annuale pari al triplo della rendita catastale dell’immobile oggetto della locazione. In soldoni, mediamente circa 100 euro, con un affitto mensile fino all'80% inferiore al precedente. Un affare per i locatari, un’angoscia per i titolari, che spesso arrivano a minacce, distacco delle utenze o offerte di buonuscita, fino al caso estremo seguito dagli avvocati dell’Unione Inquilini di Roma. Riguarda una studentessa residente in zona Tiburtina che, ottenuta la registrazione e quindi il pagamento del canone ridotto, al ritorno a casa da una due giorni a Bologna ha trovato le sue cose fuori dalla porta. Salvo rientrarci a stretto giro grazie all’intervento di finanza e polizia prima, e del Tribunale Civile poi.
«Questi sono casi limite» spiega Fabrizio Raducci della segreteria dell’Unione Inquilini di via Cavour. «Il consiglio che do io però è di affidarsi sempre alla consulenza di un legale prima di intraprendere qualsiasi iniziativa. A volte purtroppo basta un piccolo cavillo tecnico per inficiare il risultato del ricorso alla cedolare secca. In questo senso di certo non aiuta il lavoro dell’Agenzia delle Entrate, che offre agli utenti un’informazione nebulosa e poco chiara. Ognuna delle sede comunali e addirittura a volte diversi dirigenti della stessa sede danno differenti indicazioni su spese di registrazione ed iter da seguire, creando non poca confusione negli inquilini. Per confrontarci su questi temi – conclude Raducci – abbiamo anche chiesto loro un incontro, ma siamo ancora in attesa di risposta». Stessa posizione del coordinamento Fuori dal Nero, un’organizzazione che offre consulenza con sedi in tutta Roma, promossa da studenti, movimenti per il diritto all’abitare e sindacati. «Quella della cedolare secca non è una legge nata per gli inquilini – ci spiega una dei suoi membri Simona Ammerata – ma una specie di sanatoria inclusa nel pacchetto della Finanziaria di febbraio 2011, che permetteva ai locatari di registrare fino a giugno i contratti non depositati in precedenza senza l’obbligo di more o sanzioni. Studiando la norma però ci siamo accorti che, anticipando le spese, l’iniziativa poteva essere presa anche dall’inquilino, offrendo così una via d’uscita a quello che è tuttora un vero e proprio racket. Peccato – aggiunge Ammerata – che l’atteggiamento dell’Agenzia delle Entrate, davanti alla cui sede abbiamo anche recentemente manifestato, non facilita la registrazione dei contratti, necessaria per arginare la precarietà abitativa e recuperare reddito». D’altronde i numeri parlano chiaro: grazie alla legge, 330 milioni di euro recuperati solo fino a novembre 2011.
Marco Di Tommaso