Dopo quella sui taxi a Roma è scoppiata la guerra agli Home restaurant. Si tratta della nuova tendenza importata dal mondo anglosassone che trasforma una casa privata in un vero e proprio ristorante. Per ora, in assenza di una legislazione specifica, la regola è solo una: non superare la soglia dei 5.000 euro di fatturato, pena l’apertura di una partita iva. Nessun obbligo formale sulle regole sanitarie.
CONCORRENZA SLELAE? – Per i ristoratori e in genere tutte le attività di somministrazione di bevande e alimenti si tratterebbe di una concorrenza sleale. Oggi un parere del Ministero dello Sviluppo Economico è dalla loro parte e mette fuorilegge tutti gli Home Restaurant italiani scoraggiandone le nuove aperture. Lanciata raccolta di firme per richiedere l’approvazione del DDL S.1271 del 27/02/2014 sull’Home Food. Solo una legge esclusiva dedicata all’Home Food e alla possibilità di aprire un Home Restaurant in Italia potrà però mettere ordine e stabilire un distinguo tra due attività non concorrenti ma complementari.
CONTRO – A Roma, dove il fenomeno sembra già largamente diffuso, il dibattito si è appena aperto. L’assessora alla Roma Produttiva Marta Leonori sembra per ora essere dalla parte dei ristoratori. «Chi esercita l’attività di cuoco a domicilio, nei cosiddetti Home Restaurant — ha spiegato in una nota — deve sottoporsi alle stesse regole che valgono per tutte le attività di somministrazione di cibi e bevande e questo perché è necessario prima di tutto tutelare il consumatore finale, a partire dalle norme igienico-sanitarie e di conservazione dei cibi. Il fenomeno si sta diffondendo a macchia d’olio soprattutto nelle grandi città e spesso con l’aiuto di siti web e social network, ma il fatto di commercializzare pietanze o bevande all’interno della propria abitazione non può esimere dal rispetto delle norme che disciplinano il settore». Era quello che chiedeva da tempo la Federazione italiana pubblici esercizi. L’assessora, infatti parla di «concorrenza sleale» nei confronti delle « imprese di ristorazione che devono obbligatoriamente sottoporsi a tutti gli iter di verifica da parte delle amministrazioni, ai controlli delle Asl, agli adempimenti sulla sicurezza dei locali». Per non parlare del fatto che gli Home Restaurant « sfuggono a qualsiasi controllo fiscale».
A FAVORE – Ma il consigliere regionale del Lazio, Fabrizio Santori, vuole una regolamentazione e per questo ha formato la proposta di legge regionale n. 271 “Diposizioni in materia di svolgimento attività di HomeRestaurant o Home food”.
«In tempi in cui la crisi incombe minacciosa sull’economia locale e nazionale – si legge in una nota a firma di Santori – si affacciano proposte interessanti capaci di colmare questo pericoloso vuoto occupazionale e culturale. Il fenomeno sempre più diffuso dell’HomeRestaurant è un esempio di come i cittadini siano capaci di rimboccarsi le maniche e reinventarsi in un’opportunità di livello anche se saltuaria e da cui potrebbe scaturire un rapporto proficuo tra queste micro realtà e le aziende laziali. I concetti posti a base dell’home food, ossia la cucina in casa, sono la convivialità, la socializzazione e la tradizione, la condivisione di un pasto tipico che diventa un’opportunità per instaurare nuove relazioni sociali.