Hai preso tutto? mi domandò spuntando la lista della spesa. Oh no, ho dimenticato la melagrana! Sono stanca, i giorni che precedono le Feste sono intense e faticose, ma mi faccio coraggio ed esco, la sporta sotto il braccio e il cuore in tumulto. Mancano due giorni alla cena di Rosh Hashanah, impensabile inaugurare il nuovo anno senza rimon (melagrana).
E mentre cammino, il mio pensiero vola in Israele: “Paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e di miele”. (Dt 8, 8).
Per un momento mi lascio trasportare dalla nostalgia, e come d’incanto, mi catapulto in Mahane Yehuda, il mercato di Gerusalemme; nell’aria profumi fortissimi o delicati come quello del pane appena sfornato. Travolta da una gioia incontenibile, mi aggiro tra banchi coloratissimi di spezie, frutta e verdura, attirata dalle grida invitanti dei mercanti. Ovunque sorrisi, strette di mano, frasi augurali, bimbi saltellanti e mamme in affanno con carrelli stracolmi di ogni bene: perché a Rosh Hashanah, per due sere consecutive, si usa mangiare secondo un ordine prestabilito: fichi, zucca, finocchio, porri, datteri, melagrana, pesce, testa d’agnello e recitare su ognuno di essi una benedizione, senza dimenticare di intingere la mela nel miele per augurare un anno dolce e piacevole.
La mia attenzione viene attirata dalla voce di un giovane rabbino che improvvisa una lezione davanti ad una bancarella di dolciumi. L’argomento é la challah, il pane di farina bianchissima. Egli spiega che per il capodanno ebraico la challah muta la sua forma abituale da treccia o serto di Shabbat in quella circolare a corona, per simboleggiare il continuo fluire delle stagioni, il prolificare del popolo ebraico senza interruzioni di spazio e di tempo. Mi fermo un attimo ad ascoltarlo, affascinata dai suoi racconti. Poi riprendo la mia ricerca, tra pompelmi di Jaffa e mandorle freschissime.
L’atmosfera é laica e mistica allo stesso tempo: il rintocco della campana delle chiese si mescola all’eco della preghiera del muezzin e al mormorio sommesso di un ebreo ortodosso fermatosi a pregare alla vista improvvisa dell’arcobaleno. É appena spiovuto, il mercato riluce in tutta la sua acerba bellezza. Ho finalmente trovato la mia melagrana, posso tornare a casa adesso. Uno sbattere di ciglia e la vita mi riporta qui, alle mie speranze, ai desideri che si sgranano infiniti come chicchi di rimon sulla tavola imbandita.
Daniela Pepe Viterbo
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