Al tabellone arrivi il volo da Tel Aviv é landed, atterrato! L’emozione sale mentre la vedo oltrepassare il controllo passaporti trascinando il pesante trolley. Tikvah ha diciotto anni, é mia nipote. Ci stringiamo forte, nello sguardo un velo di tristezza. Non faccio domande, capisco che é stanca. Più tardi, con calma, parleremo. Davanti ad una tazza di tè fragrante, é un fiume in piena di parole ed emozioni: in Israele la situazione é drammatica, si é scatenata violentissima l’intifada dei coltelli, la tensione é alle stelle. Le offro in pezzo di torta appena sfornata, gli occhi socchiusi ad assaporare la felicità, qualunque cosa accada.
La osservo con orgoglio: assennata e responsabile, già da piccola insegnava alla sorellina il gioco “tutti giù per terra” a schivare le pallottole che
fischiavano sopra la testa nel tragitto che portava a scuola. Tikvah é nata nel West Bank e ogni giorno sa di poter essere, in qualsiasi momento,
accoltellata, investita, crivellata da spari o lancio di pietre, e poter morire per strada, in un centro commerciale o alla fermata dell’autobus; Tikvah abita nel West Bank, lei ama la vita e come le ragazze della sua età, sogna e spera, qualunque cosa accada.
Mi confida alcuni progetti: l’università a Gerusalemme, il viaggio in Europa dopo il servizio militare, un nuovo amore appena sbocciato. Chiedo notizie di Avigail, scampata per miracolo ad un attentato. Continua a parlare, la voce rotta: “Perché dobbiamo vivere nell’angoscia che ci sia un terrorista palestinese pronto a colpirti o farsi esplodere? Perché dobbiamo sobbalzare ad ogni sms di allerta missili, correre a perdifiato e rinchiuderci nel bunker?
Perché il mondo non s’indigna quando uccidono gli ebrei? Perché questo silenzio assordante? Usciamo, Roma ci aspetta. Compriamo i biglietti per un giro panoramico della città in bus scoperto. Prendiamo posto su, in alto, l’aria é frizzante, il cielo terso. La vedo felice e spensierata. Musei, shopping e pranzo nel quartiere ebraico. Scegliamo di stare fuori all’aperto a goderci la piazza ed il sole che splende d’intorno.
Una settimana é trascorsa, giunto ormai é il tempo del ritorno. La seguo con lo sguardo incamminarsi verso il settore partenze. Ha due trolley adesso ed un cappello bianco a falda larga. Si gira a salutarmi ancora una volta, poi sorride e si unisce ad un gruppo di turisti israeliani. Nel mio cuore un canto forte si eleva
Eretz Eretz Eretz
Terra, Terra, Terra
Paese che amiamo come nostra madre
Paese di un popolo per sempre
Paese in cui siamo nati e viviamo
qualunque cosa accada
Daniela Pepe Viterbo
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