Mentre la classe politica romana sprofonda nei gorghi dell’indagine di Mafia Capitale da destra come da sinistra la paura corre sul filo delle intercettazioni e del probabile sviluppo della vicenda che a breve potrebbe lambire le municipalizzate ed i loro insostenibili deficit. L’Ama è stata già coinvolta con le prebende da favola dell’ex ad Panzironi e con diffusi eventi correttivi, ma la Procura sta già percorrendo da tempo altri filoni di indagine per Atac: dai biglietti falsificati, alle consulenze fittizie sino a qualche appalto sospetto. E nessuno ci assicura che le altre numerose (e talora inutili) municipalizzate siano senza peccato. Praticamente oggi il Comune di Roma più che sotto vigilanza è in pratica semi-commissariato dal prefetto e dagli ispettori del Ministero dell’Economia e delle Finanze che dovranno fare le pulci su gare, appalti e concessioni degli ultimi 8 anni. Un necessario lavoro di verifica, controlli e riscontri che rischia tuttavia di paralizzare la già bolsa attività amministrativa del Comune. Per di più si diffonde il sospetto delle intercettazioni che pur senza colpa possano gettare qualcuno nel tritacarne mediatico che ormai funziona a pieno regime. Tutto questo confuso agitarsi richiama la Tangentopoli del 1992 quando i primi arresti aprirono le cataratte delle confessioni che seppellirono i partiti della prima Repubblica. Anche il Pci-Pds, sia pure in minor misura, ne fu lambito, ma alle sue spalle rimaneva il monito di Berlinguer (scomparso 11 anni prima) sulla ‘questione morale’. Rimaneva ancora l’organizzazione di un partito di popolo fortemente radicato sul territorio che ormai era uscito dai fumi ideologici ma che manteneva vivi concetti essenziali per la sinistra quali solidarietà, equità e uguaglianza. Oggi il Pd vieppiù liquefatto da Matteo Renzi, proiettato verso una indistinta e futuribile post modernità, è altra cosa. Come dopo oltre 20 anni (molti dei quali riscorsi con Berlusconi) altra cosa sono l’Italia e gli Italiani. Ben altra è la situazione economica e sociale che nelle sue dimensioni internazionali attanaglia il Bel Paese dalle riforme sempre annunciate e mai attuate. Tutte cose note, plasticamente avvertibili nella quotidianità, ma evidentemente lontane dalla percezione di un gruppo dirigente democratico romano che ormai da almeno sei anni si è logorato ed estenuato nelle lotte di fazione e nella spartizione correntizia del potere persino quando era alla opposizione con Alemanno. Anche questo è stato il terreno fertile per il sodalizio di Buzzi, costola della sinistra e della cooperazione sociale, e di Carminati corifeo di quella destra estrema che con Alemanno aveva rialzato la cresta. Al vero e proprio crollo di questo logoro sistema di potere corrispondono solo balbettii o peggio, silenzi.
IL COMMISSARIO ORFINI – Per approdare al massimo ad effimere posizioni decisioniste come quella del commissario Matteo Orfini che promette tagli e punizioni esemplari sulla scorta del suo omonimo che sta a capo del governo. Così, anziché riaprire i circoli alla consultazione democratica, partecipata e di base, fa sapere che verranno interpellati tutti gli 8.000 (in verità pochi) iscritti del suo partito a Roma per pesarne l’autenticità dell’adesione politica. Quello stesso partito che ha aperto le primarie a tutti consentendo la manipolazione del voto oggi viene chiamato in causa per una seduta psicanalitica collettiva, mentre l’organizzazione si decompone e le clientele nell’Amministrazione capitolina e nelle municipalizzate emergono. E questa operazione che ormai tutti gli ingenui definiscono “chirurgica” si rificca dopo quella affollata assemblea programmatica di due sabati fa quando la platea seguiva, con attenzione di circostanza, tutto lo scibile umano e capitolino spiattellato in pillole di saggezza. Tutti stretti attorno ad Ignazio Marino intenzionato a riequilibrare i rapporti con il suo Partito ormai ridotti ai minimi termini. Un improbabile e tardivo “embrasson nos” per una platea che non aveva colto il monito del procuratore capo Pignatone reduce dall’arresto del Carminati eseguito appena il giorno prima.
MAGISTRATURA E ETICA PUBBLICA – La magistratura, fece intendere, non vi toglierà le castagne dal fuoco perché la corruzione nella politica è mancanza di etica non sempre perseguibile dal codice penale. Quell’etica pubblica che, come il coraggio di don Abbondio, se uno non ce l’ha non se la può certo dare. Un sindaco mondo da colpe si aggrappa così alle proprie tetragone convinzioni senza una classe politica che lo sostenga nella speranza che la sua immagine pulita recuperi quel calo di consensi di popolo che gli veniva attribuito sino a poco tempo fa. Ma noi normali cittadini ci chiediamo: può essere governata una metropoli complessa come Roma in queste condizioni? Perché, se la politica fa schifo a tanti, resta il fatto che in democrazia la politica serve proprio per governare altrimenti rimane unicamente “l’uomo solo al comando” per il quale gli italiani hanno una certa predilezione.
SCIOGLIMENTO ED ELEZIONI – E siccome a Roma come in tutto il Paese il Pd è partito di maggioranza con il 42% dei consensi ottenuto solo alle europee, tocca al Pd non solo cospargersi il capo di cenere o versare false lacrime di coccodrillo, ma fare una scelta. Prima che la scelta la faccia Matteo Renzi anticipando le elezioni politiche a maggio oppure prima che un’altra raffica di arresti o di avvisi di garanzia faccia sparire la destra romana e lambisca ancora i democratici. Sarà pur vero che non ci sono gli estremi per lo scioglimento del Consiglio comunale sulla base del 416bis (fatti di mafia), ma tutti gli estremi per il commissariamento del Comune stanno nella logica della sua attuale paralisi. Nel frattempo il Pd potrebbe rigenerarsi (o come ha detto Renzi ‘rifondarsi’) con un congresso vero, almeno per quei pochi che passeranno all’esame del professor Orfini e senza primarie “tarocchi”. Perché in Europa sono gli iscritti ai partiti (pochi o tanti che siano) a fare i congressi, e non i talk show.
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