Case popolari ai nomadi, la continua boutade di Marino

Una promessa difficile mantenere, considerata l'alta richiesta di immobili anche da parte degli italiani

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Ater, Roma, comune, regione, lazio

Il Prefetto Franco Gabrielli incontrando le rappresentanze del XI municipio a Corviale è stato sufficientemente chiaro nel descrivere l’intolleranza ormai diffusa e trasversale nei confronti dei Rom. Una comunità che, seppure limitata a 7000 persone solo ufficialmente censite nella Capitale, finisce ormai per rappresentare un vero e proprio problema di ordine pubblico. Dalle parole del Prefetto traspariva chiaramente un “No al razzismo”, ma anche un fermo “No a certo buonismo” che va ben oltre la tolleranza. Poiché sui campi nomadi si va ormai discutendo da almeno un decennio, senza che si arrivi a soluzioni credibili, ancora una volta il Vicesindaco Luigi Nieri ha riproposto l’offerta di un alloggio popolare alle famiglie rom. Quelli che «hanno redditi alti e delle proprietà – ha detto-  vanno mandati via dai campi perchè non hanno bisogno dell’assistenza di Roma Capitale.

Chi invece ha bisogno va assistito come tutti i cittadini e cioè in case di edilizia pubblica». Come se nella Capitale gli alloggi popolari abbondassero quando per gli sfrattati dei residence si va offrendo un contributo mensile di 800 euro perché si affittino appartamenti a costo calmierato. Che già in questo caso le famiglie superano la cifra dei 2000 mentre è ignoto quali e quante siano le famiglie dei nomadi ‘bisognosi’.

Non si comprende inoltre quali sarebbero i tempi per attribuire loro l’alloggio popolare poiché il buon senso ci impone di credere che le eventuali domande (ma dubitiamo che le facciano) verranno messe in coda alle migliaia di domande di cittadini romani che ne hanno fatto richiesta da anni. Nel frattempo l’assessora al sociale Silvia Danese va annunciando una serie di linee guida che portino alla progressiva chiusura dei campi e all’individuazione di soluzioni alloggiative e per i 7mila rom della Capitale.

Considerando che i Rom abbienti, alcuni con numerose autovetture intestate e riserve d’oro degne delle migliori famiglie romane, la casa se la potevano trovare da soli prima che le forze dell’ordine scoprissero questi tesori dalla dubbia provenienza (ma non l’hanno mai fatto perché non gli conviene), resta il fatto che il fabbisogno immediata di case popolari è di almeno altri 6.000 alloggi vista anche la dimensione degli sfratti. A questo punto, fuor di propaganda buonista tanto de sinistra/sinistra, non si comprende proprio dove il Campidoglio possa disporre di tanti appartamenti se non fra qualche anno quando grazie ai fondi della Regione, verranno aperti i primi cantieri.

Lungi da noi ogni venatura razzista, resta il fatto  che a Roma i campi permarranno per anni.  Semmai il problema è quello di sbaraccare gli insediamenti abusivi che contano altre centinaia di nomadi non censiti e che peraltro non riguardano solo i Rom. “Rebus sic stantibus” conviene intanto esercitare un controllo rigoroso sui campi esistenti, bloccare quelli abusivi che vengono aperti a ciel sereno (non necessariamente dai nomadi), ma da homeless sull’orlo della disperazione e senza ostelli che non siano i pochi offerti dalla Caritas.  La gestione e il controllo dei campi erano funzioni in parte affidate, spesso senza regolare bando, alle cooperative sociali di Buzzi, funzioni che sono andate via via estinguendosi da Mafia capitale in poi.

Che poi a Nieri non faccia paura Salvini (come ha affermato a una radio privata) è del tutto irrilevante quando invece dovrebbe aver paura di quei gruppi di cittadini che si vanno minacciosamente organizzando per contrastare le illecite attività dei nomadi roghi tossici compresi. In attesa quindi della miracolosa moltiplicazione degli alloggi e dei redditi Rom questo problema, anche prima della morte della signora Filippina travolta e uccisa, rimane un problema di ordine pubblico e come tale va trattato. Tanto più che i  Rom, Sinti e camminanti, bosniaci o serbi, kossovari o montenegrini, moldavi o korakanè  censiti vegetano nei campi in condizioni deplorevoli, inghiottendo pur sempre soldi pubblici.

Come d’altronde avviene all’estero, ci pare che in primo luogo il problema si fondi sulla legalità dei comportamenti la cui trasgressione non  è giustificata dalla permanenza nei campi, nei quali peraltro molti nomadi “optime manebant” lucrando sulla loro marginalità. Se poi si insiste sulle case popolari da attribuire loro basterebbe riesumare l’esperienza del defunto dittatore rumeno Ceauscecu che li ghettizzò quasi tutti sulle sponde meridionali del Danubio creando vere e proprie isole felici di balcanica illegalità.

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