Definita per millenni la malattia dei “Signori della tavola”, fino a qualche anno fa la gotta era abbastanza diffusa nel Lazio, soprattutto nei piccoli centri di montagna, le cui caratteristiche climatiche, unite alle precarie condizioni abitative, ne favorivano una facile diffusione. In origine, indicata dai greci con il nome di “podagra”, la malattia deriva il proprio nome attuale dal latino “gutta”, che significa goccia. Bisogna però risalire al XII secolo per capire che il termine deriva da un umore “reumatico”, che si depositava goccia a goccia nell’articolazione colpita, danda origine a una fastidiosissima sintomatologia dolorosa.
LA GOTTA – La gotta è forse una delle malattie più antiche. Alcuni storici riferiscono che Asa, nel 39esimo anno del suo regno, fu colpito da un violento dolore a un piede, che gli impediva di camminare. Gli antichi Egizi non furono indenni da questa singolare malattia. È accertato che in alcune mummie di persone, vissute 7mila anni fa, sono stati rinvenuti depositi di cristalli di acido urico.
Medici e scrittori hanno descritto nel corso dei secoli, a volte in modo pittoresco, la “sindrome gottosa”, soprattutto quando ne venivano colpiti personaggi famosi come Galeno, medico dell’imperatore Marco Aurelio, Areteo di Cappadocia, Enrico VII, Enrico VIII, Lutero, Calvino, Bacone, Darwin, tanto per citarne alcuni.
Comunque la valutazione patogenetica di questa malattia non è facile. Si è fatto riferimento, da parte di molti studiosi, ad abusi alimentari, alla passione per il bere, all’uso eccessivo di carne o di cioccolata, quali cause che predispongono l’insorgenza della crisi gottosa. E questa tesi è rimasta valida fino alla metà del secolo scorso. Da quel periodo e in epoche più recenti sono state però compiute numerose scoperte patogenesi della gotta.
In primo luogo la responsabilità della malattia è stata attribuita alla iperuricemia, ossia all’aumento dell’acido urico nel sangue e nei flussi tissutali, ma tra i fattori scatenanti sono stati inclusi anche la familiarità della malattia, un deficit enzimatico, traumi fisici e psichici, malattie infettive, l’uso di diuretici, la somministrazione di alcuni antibiotici. Si è così arrivati alla conclusione che l’iperalimentazione non crea la gotta, ma può aggravarne i sintomi e il decorso. L’attacco gottoso classico insorge quasi sempre di notte e toglie il sonno al paziente per la sua repentina aggressività.
ZONA COLPITA – La zona elettivamente colpita è quella dell’articolazione metatarso- falangea dell’alluce. Il dolore è urente e dura con tale intensità fino al canto del gallo. L’articolazione si presenta tumefatta, di colore rosso-violaceo, lucida, eccessivamente calda e indisponibile a qualsiasi minimo contatto o movimento.
Puntualmente per alcuni giorni il dolore, dopo la pausa diurna, si ripresenta brusco e violento nelle ore notturne. L’organismo partecipa alla drammatica situazione locale, (meno di frequente possono essere interessate altre sedi come i piedi, le caviglie, i gomiti, le ginocchia, le mani), con un interessamento generale.
La febbre, di intensità variabile, spesso accompagnata da brividi, è un elemento costante; il dolore, che si esacerba ad ogni minimo contatto, rende il malato agitato, nervoso, teso e insofferente. Questo quadro clinico non presenta per il medico difficoltà diagnostiche, anche se egli non dispone dell’ausilio della radiologia e dei dati di laboratorio. L’intervento terapeutico, se precoce e ben indicato, può dare soddisfacenti e immediati risultati. In altre parole, la gotta si può guarire. La malattia nella fase acuta richiede una terapia di attacco, vale a dire la somministrazione associata di colchicina e di antinfiammatori non steroidei.
Superata così la fase acuta e tenendo conto che nel gottoso il livello di acido urico nel sangue quasi sempre superiore alla media, debbono essere prescritti per un periodo di almeno sei mesi, farmaci ipouricemizzanti, ma nel contempo il paziente deve osservare un regime dietetico povero di grassi, di proteine, di purine e di sostanze alcoliche. Il gottoso, infatti, fabbrica acido urico proprio da queste sostanze.
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